Categorie: Fisica e Matematica

Sochi 2014, quelli che fanno la neve

Se dovessimo scegliere un colore a rappresentanza delle olimpiadi invernali, più che l’azzurro, il giallo, il verde, il nero e il rosso degli anelli olimpici, sceglieremmo sicuramente il bianco, come la neve. Ma che la neve sia presente lì dove gli atleti si sfideranno, come a Rosa Khutor, la sede alpina di Sochi 2014, non è così scontato. Per questo più che fare affidamento sulle precipitazioni naturali, si ricorre al lavoro degli snowmaker, che come suggerisce la parola sono quelli che la neve la fanno. Ma come?

L’idea è quella di replicare quanto avviene in natura: congelare l’acqua, solo che invece di farlo in alto nell’atmosfera, la neve viene prodotta vicino al suolo. Per far tutto questo è necessario avere una buona conoscenza delle leggi della fisica, tenendo in considerazione soprattutto fattori come la temperatura e l’umidità (più è fredda e secca l’aria maggiore è la capacità di congelamento, spiegano gli esperti).

Uno dei parametri cui chi fa la neve presta particolare attenzione è la cosiddetta temperatura di bulbo umido, come racconta il New York Times. Si tratta di un valore che tiene in considerazione non solo la temperatura dell’aria ma anche l’umidità. A Rosa Khutor, per esempio, la temperatura di bulbo umido può essere troppo alta per fare neve con efficienza, spiegano gli esperti. Anche se, fortunatamente, negli ultimi due mesi le condizioni sono state tali da produrre neve di qualità. In particolare si calcola che nella stazione olimpionica siano stati installati circa 400 sparaneve insieme a tutte le attrezzature necessarie a raffreddare l’acqua vicino allo zero, e che finora siano stati convertiti in neve circa 870 milioni di litri d’acqua.

Conversione che avviene così in uno sparaneve. Punto di partenza per la formazione della neve, per quella naturale come per quella artificiale, è la presenza di un aiuto per far congelare l’acqua, anche in aria molto fredda. Nell’alta atmosfera l’aiuto allacristallizzazione è dato da particelle di polvere ed altre impurità che fungono da centri di nucleazione.

A terra sono gli stessi sparaneve a produrre questi semi di nuclei di congelamento, attraverso dei fori da cui viene spruzzata acqua miscelata ad aria compressa. Quando l’aria, uscendo, si espande, si raffredda, così velocemente da portare a congelamento l’acqua che l’accompagna, creando piccoli cristalli di ghiaccio. A questo punto l’acqua spruzzata dallo sparaneve da un anello di ugelli principale si deposita intorno a questi nuclei portando alla formazione dei cristalli di neve (diversi, vista la velocità con sui si formano, da quelli spettacolari visti in natura).

Anche se il freddo aiuta la formazione dei cristalli di ghiaccio e quindi della neve, il troppo freddo potrebbe causare grossi problemi agli snowmakers. È necessario per esempio assicurarsi che l’acqua che rifornisce le macchine nelle tubature non geli (bilanciando repentinamente la pressione e regolando il numero degli sparaneve in funzione così che il liquido scorra velocemente senza congelare). Ma può succedere comunque che gli ugelli di nucleazione si ghiaccino. Può infatti accadere che si blocchino, e che quindi vengano a mancare i cristalli di nucleazione. Se così accade, l’acqua nebulizzata dagli ugelli principali cade come pioggia, e cattura la luce in modo diverso. Tanto che gli esperti dicono “se vediamo un arcobaleno” siamo nei guai.

Via: Wired.it

Credits immagine: Kurrs/Flickr

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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