Sochi 2014, una nuova sostanza dopante?

Un caso giornalistico, sportivo e di salute. Così potrebbe essere riassunta la storia circa la possibile presenza di una nuova sostanza dopante destinata agli atleti di Sochi 2014, scoppiata qualche giorno fa. A lanciarla le rivelazioni di un’emittente tedesca secondo cui uno scienziato russo avrebbe offerto a un reporter sotto copertura una sostanza dopante dal costo di 100 mila dollari e chiamata “full-size Mgf”.  I giornalisti avrebbero poi comperato la sostanza e fatta analizzare da un esperto anti-doping, Mario Thevis, chimico forense al Center for Preventive Doping Research della German Sport University Cologne. Ecco cosa ne è emerso, secondo il racconto raccolto da Science Insider.

Secondo l’esperto il cocktail offerto al reporter conteneva una sostanza nota come mechano growth factor (Mgf), una variante dell’Igf-1 (human insulin-like growth factor-1) capace di potenziare lo sviluppo muscolare, e in grado di passare inosservata nei test antidoping attuali. La forma dell’Mgf biologicamente attiva è quella della molecola nel suo complesso (full size appunto), per la quale ancora non sono stati messi a punto e inclusi nei test antidoping le metodiche per rivelarla (come per esempio quelle basate sull’uso di anticorpi e sulla spettrometria di massa), sebbene per alcune varianti dell’Igf-1 i metodi esistano.

Questo significa che, se è stata utilizzata, la sostanza è passata inosservata. Ma non solo: l’assenza di studi clinici e di ricerche sugli effetti dell’iniezione di Mgf a lungo termine non permette neanche di conoscere i potenziali rischi associati alla sua assunzione, ma si possono fare solo delle ipotesi. Per esempio, spiega Thevis, non si può escludere che la sostanza possa scatenare reazioni immunitarie, problemi cardiovascolari o anche avere un potenziale cancerogeno.

Il problema al momento è che pur conoscendola – e sebbene la sostanza possa trovarsi (potenzialmente) in forma naturale ma non sia mai stata rivelata nei campioni di siero e sangue, né ci si aspetterebbe di trovarla nelle urine – i test per rivelarla non sono ancora pronti. Tecnicamente, spiega l’esperto, sarebbe possibile, ma bisognerebbe di mostrare che funzionino, ovvero valutare se i limiti di rilevamento siano nel range per le quantità fisiologiche o terapeutiche, anche se non si sa quanto siano. E comunque, conclude Thevis, nel momento in cui venisse rivelata si dovrebbe poter escludere che si tratti di un artefatto naturale.

Via: Wired.it

Credits imamgine: katapulsemusic/Flickr

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