Socrate 2000

Quella della censura è una storia vecchia quanto il mondo. Il primo a subirne le conseguenze nel mondo occidentale è stato – secondo gli storici – il filosofo Socrate, le cui idee furono ritenute “inopportune”, perché d’una forza tale da risultare pericolose per il potere costituito. Socrate aveva scelto il mezzo di comunicazione che riteneva più efficace: la voce. Per le sue parole rivolte ai discepoli fu accusato di corrompere i giovani, e poi condannato a morte.

Oggi, un novello Socrate che volesse diffondere il proprio sapere userebbe forse la rete Internet. Solo così riuscirebbe a far arrivare la propria voce dovunque. E avrebbe dalla sua un vantaggio in più: quello di rimanere anonimo. E se qualcuno – dittatore o governo democratico – non gradisse le sue opinioni, non potrebbe che arrendersi all’evidenza: una volta messo in rete, un pensiero è ben difficile da fermare. Non a caso, Internet è nata negli anni Sessanta con questa precisa funzione: permettere alle informazioni militari di arrivare sempre al destinatario, a dispetto di qualsiasi interruzione.

Ma è proprio vero che un Socrate seduto davanti a un computer, collegato a Internet, potrebbe far viaggiare le sue parole senza paura d’essere messo al bando? Dipende. Perché un conto è l’Occidente, dove Internet è diffusa, conosciuta e abbastanza libera; un conto è il resto del mondo, dove gli ingranaggi del diritto d’espressione sono più o meno arrugginiti.

In alcune regioni del pianeta, acquistare un computer è roba da ricchi, quando non un atto di ribellione contro genitori e religione, perché la rete è uno strumento in grado di far intravedere “altro”: ecco la censura sociale e culturale, che scatta al di fuori e prima della rete. In altri paesi, invece, la censura ufficialmente non esiste, e si può liberamente navigare su Internet. Ma l’accesso ai siti è controllato dallo Stato: censura ideologica. Infine, ci sono posti in cui la rete c’è, l’accesso pure, ma guai a parlar male del capo del governo. Censura politica.

Nei paesi democratici, invece, più che di censura si parla di regolamentazione. In Occidente vige la regola in base alla quale è permesso tutto ciò che non sia espressamente vietato. Così, su Internet si può dire tutto quello che si vuole, “a patto che”. A patto che, per esempio, non si tratti di pornografia o non si inciti alla violenza. Ed ecco il problema: Internet vive nel cyberspazio che, per definizione, non conosce confini territoriali. Ma come si fa ad applicare la legge tedesca che vieta le pagine neo-naziste, quando queste, pur se confezionate da cittadini tedeschi e nella loro lingua madre, vengono ospitate in siti d’oltreoceano?

Ritornando a Socrate. Se il filosofo greco volesse essere sufficientemente libero, nel 1999, di discutere in rete di guerre, massacri e dittature, o magari di insegnare a costruire bombe (su Internet c’è anche questo), dovrebbe guardarsi bene dal nascere a Cuba o in Birmania: posti, questi, in cui farebbe la stessa fine che ha fatto più di duemila anni fa.

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