Soluzione integrata

“In Italia non sarebbe mai successo”. Le ultime parole famose pronunciate dagli esperti di energia elettrica si sono dimostrate completamente beffarde di fronte al black-out che ha paralizzato l’Italia. E che ha scatenato polemiche sulle possibili strategie energetiche da adottare: i fautori del nucleare da una parte, dall’altra coloro che spingono per investimenti sulle cosiddette fonti alternative. Una proposta fuori dal coro viene da Paul Chu, fisico dell’Università di Houston e uno dei massimi esperti di superconduttività, della capacità cioè di alcuni materiali di condurre elettricità senza incontrare resistenza e con perdite estremamente contenute. Il ricercatore americano, a Sorrento dal 14 al 18 settembre scorsi per partecipare alla Conferenza Europea sulla Superconduttività Applicata (Eucas), propone di realizzare un sistema integrato in grado di sfruttare le potenzialità offerte sia dalle tecnologie superconduttive che dall’idrogeno. L’idea è quella di far convivere nello stesso luogo una centrale elettrica convenzionale e una per la produzione dell’idrogeno liquido. E utilizzare per la distribuzione dell’elettricità una linea superconduttiva interrata, in grado di un trasporto privo di perdite, raffreddata con idrogeno liquido, che richiede temperature intermedie con costi quindi contenuti. Quest’ultimo, a sua volta, viaggiando lungo la linea, verrebbe reso disponibile per essere impiegato come fonte energetica. In pratica, con lo stesso condotto vengono trasportati contemporaneamente sia l’energia elettrica che l’idrogeno combustibile. Entrambi sarebbero così disponibili all’utente nello stesso punto di utilizzazione.L’uso dei superconduttori per realizzare una vera e propria rete di distribuzione dell’energia elettrica senza perdite (a fronte di perdite del 5-10 per cento dell’attuale rete convenzionale) incontra tuttavia difficoltà attualmente insormontabili. Infatti, oltre ai problemi dovuti alla necessità dell’interramento, per una rete siffatta i costi legati alla necessità di raffreddare il superconduttore lungo tutta la linea sarebbero insostenibili. “Finora sono stati realizzati collegamenti di poche centinaia di metri, impiegati per la connessione fra centrale e sistemi di stoccaggio. Tra l’altro, proprio in Italia sono attivi diversi progetti che coinvolgono università e aziende su questi temi”, spiega Ruggero Vaglio, fisico dell’Università di Napoli “Federico II” e organizzatore del convegno sorrentino. “È evidente quindi che a oggi l’unico vero vantaggio offerto dalle tecnologie superconduttive sta tutto nel risparmio energetico dovuto all’assenza di dissipazione. Se il sistema fosse però estensibile su più larga scala, questo significherebbe ridurre il numero di centrali necessarie a garantire il fabbisogno energetico”. I superconduttori infatti possono trasportare una quantità di energia elettrica fino a 100 volte superiore a quella dei normali fili di rame delle stesse dimensioni. Ma presentano un problema non indifferente di gestione: per farlo devono essere raffreddati a temperature molto basse, procedimento che a sua volta implica un impiego di energia. Ma proprio lo stesso Chu scoprì nel 1987 un composto in grado di “supercondurre” a una temperatura maggiore di quelli fino ad allora conosciuti (94K, pari a circa –179 °C, contro i precedenti 35K, pari a circa –238 °C), con evidente risparmio economico nel processo di raffreddamento (che impiega tipicamente azoto liquido, più facile da ottenere). “In commercio esistono già dei dispositivi basati su materiali superconduttori, utili però soltanto in casi di assenza temporanea della corrente elettrica (mini black-out) o come stabilizzatori di tensione per brevi durate”, prosegue Vaglio. “Si chiamano Smes (Superconducting Magnet Energy Storage) e sono dei magneti in grado di immagazzinare Megawatt di energia che può poi essere rilasciata al momento opportuno in caso di improvviso calo di tensione. Una via di mezzo fra un semplice gruppo di continuità e un gruppo elettrogeno”. L’impiego è evidente in tutte quelle situazioni in cui la perdita anche temporanea di energia elettrica potrebbe essere fatale, come nel caso dei centri di calcolo o degli ospedali. Un punto di partenza per la messa a punto di una rete che, come immaginato da Chu, possa sfruttare la superconduttività. Ovviamente il fisico, parlando alla platea italiana, si riferiva al sistema americano, duramente colpito dal black-out dello scorso agosto. Ma mai come ora le sue parole risuonano profetiche nelle nostre orecchie.

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