Spiagge in vendita

Legalizzazione dell’abusivismo edilizio, privatizzazione del demanio pubblico e scempio ambientale. Insomma, molto più dell’ennesima sanatoria in favore di edifici privi della licenza di costruzione. E, dulcis in fundo, la prospettiva di dover pagare il biglietto per accedere alla maggior parte delle spiagge italiane. E’ questo lo scenario che, secondo Wwf, Italia Nostra, Fai, Comitato per la Bellezza e Marevivo, si prospetta grazie all’articolo 71 della Finanziaria 2002, che permetterebbe il passaggio ai Comuni e la vendita da questi ai privati di numerose aree di proprietà statale. Una “svista”, come l’hanno definita i media, o un fatto intenzionale, come ritengono alcuni, “è certo che vi è grande allarme per gli arenili e per i beni immobili dello Stato occupati abusivamente”, ha sostenuto Marco Parini, avvocato, vicepresidente di Italia Nostra, “andando a premiare coloro che hanno compiuto illeciti e proponendo modalità di vendita lesive dell’interesse dell’erario”. Infatti, l’articolo in questione, sorpassando la legge sulla cartolarizzazione, che permette, sulla base di un preciso inventario, la vendita di alcuni beni del demanio, prende spunto dalla legge del 5 febbraio 1992, con la quale si era inteso sanare, nel modo suddetto, alcuni terreni demaniali del Veneto e della Lombardia in grave stato di degradazione. La novità introdotta ora è rappresentata dall’estensione di questa eccezione a gran parte delle coste italiane, “obbligando, in un certo senso, lo Stato a venderle”, ha continuato Parini.

Conseguenza immediata è stato un proliferare delle richieste di condono e delle istanze per comperare i terreni: solo nel Lazio, 32 spiagge di Ostia e numerose altre, tra Nettuno e Scauri, potrebbero essere ben presto oggetto di contratti tra i Comuni e i gestori di stabilimenti o i proprietari di case abusive. Per di più, il contestato articolo stabilisce come unico requisito di possesso quello di aver realizzato “opere di urbanizzazione e di costruzione” entro la data del 31 dicembre 1990. Una definizione davvero “troppo vasta e generica”, dice Mirella Belvisi, architetto e consigliere nazionale di Italia Nostra, “che non tiene conto delle opportune distinzioni tra opere primarie (fogne, strade, ecc.) e secondarie (scuole, verde pubblico, ecc.), né dei vincoli paesaggistici e di sdemanializzazione. L’articolo è grave proprio per la sua brevità, oltre che per la legalizzazione di un danno enorme, di un vero e proprio schiaffo al paesaggio”. Eppure il diritto al paesaggio è scritto nella Costituzione ed è tutelato dalla legge Galasso che sottopone a precisi vincoli i territori costieri. Sebbene occorra lo studio di numerosi aspetti per dichiarare l’incostituzionalità di un simile articolo, ce n’è sicuramente di che discutere.

Appena scoppiato il caso, il ministro dell’Ambiente Altero Matteoli e quello delle Finanze Giulio Tremonti si sono impegnati ad approvare, entro marzo, il cosiddetto collegato verde alla finanziaria per abrogare l’articolo 71. E ieri la Commissione Finanze del Senato ha approvato un emendamento che prevede l’annullamento dell’articolo e di tutte le domande di compravendita. Tuttavia, la maggior parte delle associazioni ambientaliste chiede al governo di dimostrare una precisa volontà politica percorrendo la via più sicura e più rapida del decreto-legge. Che, invece, secondo Ermete Realacci, presidente di Legambiente, non sarebbe necessario, sia perché “numerosi progetti di decreti-legge sono già all’esame del governo” sia perché “l’articolo da solo non è sufficiente alla sdemanializzazione di molte aree, ma necessita di un apposito decreto attuativo da parte del ministro delle Finanze. E Tremonti ha garantito che non firmerà”. E’ destinata a essere effimera, dunque, la soddisfazione suscitata dall’articolo 71 tra le fila degli imprenditori del settore turistico-balneare, che con esso vedevano aprirsi la possibilità di appagare un’ambizione di vecchia data: poter “acquisire l’area sulla quale insiste il fabbricato commerciale”, come ha dichiarato Mauro Sansovini, presidente, in Emilia Romagna, della Federazione italiana balneari-Confesercenti. Tra l’altro, il rischio di venire accomunati agli speculatori edilizi che hanno deturpato le coste del Belpaese ha suggerito a questo fronte, dopo i primi entusiasmi, atteggiamenti più prudenti ed ecologically correct: “Siamo contrari all’articolo 71, così come è formulato e ne chiediamo l’immediata abolizione”, ha dichiarato ieri Riccardo Scarselli, presidente del Sib, il Sindacato italiano balneari della Fipe/Confturismo, cui aderiscono circa 10 mila stabilimenti balneari, “per impedire che vengano premiati coloro i quali da anni hanno perpetrato grossi abusi di ordine urbanistico sul demanio, con grave danno non solo all’ambiente ma, soprattutto, all’immagine turistica del nostro Paese”.

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