Ci aveva detto che “il metodo Stamina non è una ricetta”. Che “il ministero della Salute richiede un protocollo standard, ma Stamina ha una tecnica diversa”. Che per questi motivi era difficile standardizzare e sottoporre al giudizio di esperti indipendenti la sua metodologia di coltura e crescita delle cellule staminali. Parliamo naturalmente di Davide Vannoni, capo di Stamina Foundation, tornato nuovamente nell’occhio del ciclone dopo la pubblicazione di un’inchiesta di Allison Abbott sulle pagine di Nature che, sostanzialmente, svela come il metodo messo a punto da Stamina sia frutto di una frode scientifica. Vannoni, nel presentare il brevetto, ha infatti copiato due immagini da una pubblicazione precedente, a firma di un altro gruppo di ricerca: una scoperta che non fa altro che alimentare i già consistenti dubbi da parte della comunità scientifica su una pratica sperimentale che, al momento, nessuno ha potuto valutare e giudicare.
Dopo la bufera Nature, Vannoni ha rilasciato un’intervista a Wired.it in cui giustificava la mancata consegna dei protocolli e ribadiva efficacia e legittimità della sua metodologia. Abbiamo chiesto a Michele De Luca, direttore del Centro di Medicina Rigenerativa dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che lavora da oltre vent’anni con le cellule staminali epiteliali, un commento alle affermazioni di Vannoni. Ecco quello che ci ha raccontato.
Vannoni: “Il protocollo non è questo, con Stamina c’è una differenza. Stamina è una metodica per far crescere delle cellule e fare in modo che le popolazioni di staminali che le compongono rimangano equilibrate durante tutto il periodo in cui si moltiplicano e si sviluppano. Per fare questo abbiamo un metodo per coltivarle composto da due cose: sostanze […] , ed expertise […] . Il metodo Stamina non è una ricetta”.
“A differenza di quanto sostiene Vannoni”, replica De Luca, “ non c’è alcuna differenza concettuale rispetto a tutte le altre metodologie. Tutti quelli che coltivano cellule staminali o cellule in genere hanno sostanze per la coltura ed expertise sul tipo di cellule che crescono. Non è una peculiarità di Stamina”. In sostanza, in quello che fa Stamina non c’è niente di nuovo – né di diverso – rispetto a quello che fanno tutti i gruppi di ricerca che lavorano nel campo delle cellule staminali.
Vannoni: “[Le condizioni cambiano] in base a come crescono le cellule. Ma il ministero della Salute ci ha detto che così non va bene, ci deve essere una metodica standard, i terreni di coltura delle cellule devono essere sempre uguali e non possono essere modificati durante la coltivazione. Questo significa che tutto quello che sarà al di fuori di questo standard verrà buttato via […] anche se dietro c’è un’operazione sul paziente da eseguire […] [La variabilità] è una questione legata al fatto che gli esseri umani sono diversi l’uno dall’altro, quindi anche le cellule che li compongono hanno comportamenti diversi”.
In realtà, nella comunità scientifica le cose non funzionano esattamente così. “Le procedure standardizzate possono essere applicate a qualsiasi tipo di coltura”, spiega De Luca. Posto che, naturalmente, si conoscano bene le cellule che si stanno trattando. “La questione della variabilità biologica di cui parla Vannoni è vera, ed è nota da sempre. Quello che non dice, invece, è che lanormativa vigente tiene già conto di questa variabilità”. Le cellule, infatti, possono crescere in modo diverso, e proprio per questo la legge è elastica e permette di definire dei parametri rispetto ai quali si registrano le diverse condizioni di crescita. Uno di questi, per esempio, è l’ età del donatore.“Assumiamo che un tipo particolare di cellule staminali prelevate da un bambino cresca in 4-5 giorni, da un adulto in 6-7 giorni, da un anziano in 8-9 giorni”, dice De Luca. “Sapendo questo, ho già definito dei parametri che mi consentono di standardizzare la coltura. Basta definire in 3-7 giorni i miei controlli di processo. Ma anche se tali parametri venissero superati, questo non vuol dire buttare via le colture . Supponiamo infatti di raggiungere il livello giusto di crescita in 8 giorni. La regolamentazione consente di aprire una deviazione dallo standard”. Una volta definiti i parametri e la procedura, l’intera pratica diventa riproducibile e verificabile dal resto della comunità scientifica.
Vannoni: “Le cellule delle cell factory che sono già state applicate in clinica rispondono a poco, ma siamo molto lontani dal curare un Parkinson o un Alzheimer. Bisogna tenere conto che le cellule prodotte dalla cell factory di Monza, che sono della stessa famiglia delle nostre mesenchimali, sono state applicate a 5 bambini malati di Sma1 all’ospedale di Trieste. Tre sono morti, due non hanno avuto alcun tipo di risultato, mentre i bambini con Sma1 che stiamo trattando noi stanno avendo tutti risultati”.
Anche qui, secondo De Luca, Vannoni non dice il vero: “Non è assolutamente vero che le cellule ‘rispondono a poco ‘. Le cellule emopoietiche, epiteliali, corneali sono usate con successo in tutto il mondo e curano le persone”. Ma, ancora una volta, vanno sperimentate e utilizzate seguendo un metodo definito e con criterio. Anche perché potrebbero non conoscersene eventuali effetti collaterali.
Vannoni: “Noi abbiamo lavorato sempre con scienziati seri […] e stiamo preparando delle pubblicazioni in questo momento”.
Sempre a causa della mancanza di pubblicazioni, è purtroppo impossibile capire e valutare chi siano gli“scienziati seri” di cui parla Vannoni. Che, tra l’altro, ha iniziato a iniettare staminali dal 2005, come ricorda De Luca: “Ora siamo al 2013: sono passati otto anni e sta ancora preparando delle pubblicazioni? Suona alquanto inverosimile”.
Vannoni: “Visto il clima che c’è sulla vicenda chiederei che tipo di garanzie ci dà il ministro. Io ho postato 5 richieste che non mi sembrano nulla di spaventoso. Tre sulla logistica con cui potersi muovere nella sperimentazione, visto che l’Iss ha già accettato che noi si faccia da controllori rispetto alla produzione della linea cellulare e d’altra parte che ci siano due ospedali nei quali fare l’applicazione per i pazienti che verranno valutati. Abbiamo chiesto inoltre di poter scegliere le patologie sulle quali applicare la nostra metodica. Abbiamo chiesto poi di nominare una Cro, cioè un organismo di controllo internazionale super partes che certifichi i dati ottenuti e l’applicazione della buona pratica clinica”.
Risponde De Luca: “Queste non sono richieste. Sono condizioni. E, a mio avviso, chi si trova nella condizione di Vannoni non può permettersi di avanzare alcuna condizione”. In effetti, anche al ministroLorenzin l’ ultimatum di Vannoni non è piaciuto troppo. Lo ha rispedito seccamente al mittente, restando in attesa delle documentazioni sulle sperimentazioni. Che, a oggi, ancora non sono arrivate.
Via: Wired.it
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