Staminali per i vasi

Dalla ricerca alla pratica clinica. La genomica vascolare, che vede in questi giorni riuniti i suoi massimi esperti ad Amburgo per la seconda conferenza internazionale dell’European Vascular Genomics Network, fa segnare un punto a suo favore: la possibilità di rigenerare tessuti danneggiati grazie a terapie cellulari. Autori di uno dei primi successi in questo campo sono Paolo Madeddu dell’Istituto Nazionale Biostrutture e Biosistemi e Giulio Alessandri dell’Istituto Besta di Milano che hanno dimostrato come cellule staminali di derivazione fetale possano essere usate per risanare le lesioni provocate dalla mancanza di ossigeno (ischemia) nei pazienti diabetici. I due gruppi di ricerca, che fanno parte dei 35 laboratori del network di eccellenza finanziato dall’Unione Europea, hanno presentato i loro risultati proprio alla conferenza di Amburgo, che si svolge dal 27 al 30 ottobre in parallelo al terzo Meeting Europeo di Biologia Vascolare e Medicina. I ricercatori, somministrando cellule staminali umane di derivazione fetale (recuperate da aborti terapeutici o spontanei), hanno stimolato la riparazione dei tessuti in un modello animale che riproduce lo stato diabetico dell’essere umano. In particolare riproducendo le ulcere ischemiche che si formano nei diabetici.L’ischemia è lo stato di sofferenza dei tessuti causato da una mancanza di ossigeno, per esempio durante un infarto al miocardio e nello sviluppo della gangrena diabetica, a seguito della quale vanno incontro a necrosi. “Le ulcere ischemiche guariscono con difficoltà e possono peggiorare molto la qualità di vita dei pazienti”, ha spiegato Madeddu. “Purtroppo finora non esisteva un modello di ulcera ischemica, così è stato necessario mettere a punto le condizioni sperimentali prima di iniziare”.Fra queste anche l’identificazione delle cellule staminali che meglio di altre potevano assolvere al compito: i cosiddetti Progenitori delle Cellule Vascolari (VPC), cellule ancora indifferenziate che, se opportunamente stimolate, possono trasformarsi in vitro in strutture simili ai vasi sanguigni, e stimolare in vivo la rigenerazione vascolare e scheletrica. Madeddu le ha trovate nell’aorta fetale e insieme ad Alessandri ha deciso di verificarne il potenziale terapeutico nel modello murino.Dopo aver indotto la formazione di ulcere negli arti degli animali (occludendo l’arteria femorale), i ricercatori hanno iniettato le VPC umane direttamente sulla ferita e hanno osservato che la lesione si riduceva considerevolmente nei 3-7 giorni successivi. “Inoltre”, ha aggiunto Madeddu, “abbiamo constatato che queste cellule incrementavano la formazione di nuovi vasi sanguigni nella zona della lesione. Il trapianto di VPC ha accelerato molto la chiusura della ferita, soprattutto nella fase iniziale del trattamento”.Le staminali usate dai due ricercatori presentano diverse caratteristiche interessanti, sia dal punto di vista etico sia scientifico: vengono recuperate solo da feti abortiti (spontaneamente o con abortoterapeutico) altrimenti destinati all’eliminazione, e sono molto abbondanti nel muscolo scheletrico fetale e sono addirittura meno specializzate delle embrionali: se opportunamente stimolate, cioè, possono differenziarsi, per esempio, in muscolo scheletrico. Il meccanismo d’azione in realtà non è ancora del tutto chiaro agli scienziati. Si pensa che intervengano direttamente nel processo di rigenerazione tessutale, o che contribuiscano al rilascio di fattori di crescita che stimolano la guarigione del tessuto. “Sarà quindi necessario compiere ancora molti esperimenti prima di poter impiegare queste cellule a scopo terapeutico sull’essere umano”, ha concluso Madeddu.

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