La stimolazione del braccio per recuperare l’uso della mano funziona nei primati

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(Credits immagine: James Lee on Unsplash)

Afferrare oggetti, aprire porte, far scorrere in modo fluido le dita in una tastiera. Tutti gesti che la maggior parte di noi compie in modo automatico e semplice. Ciascuno di essi, però, coinvolge un gran numero di nervi, muscoli e richiede un’interazione non scontata fra cervello e arti. Per questo, recuperare la forza e la funzionalità del movimento è molto difficile quando queste sono state compromesse da una patologia o da un evento invalidante. Su Science Translational Medicine è stato pubblicato oggi uno studio che propone una nuova tecnica riabilitativa basata sulla stimolazione dei nervi periferici del braccio, e testata con successo nei primati.

La stimolazione nervosa di cui si parla nello studio si basa sull’utilizzo di soli due elettrodi, impiantati intorno ai nervi mediano e radiale poco sopra il gomito. Si tratta di un approccio più semplice e potenzialmente più accessibile rispetto alle terapie attuali, basate invece sulla stimolazione superficiale o intramuscolare. Oltre a richiedere numerosi elettrodi e interventi chirurgici talvolta complessi per raggiungere la muscolatura profonda, infatti, queste consentono di recuperare solo un controllo limitato delle dita, generando una forza insufficiente per recuperare i movimenti funzionali.

Nel nuovo studio, i ricercatori hanno scoperto di poter stimolare efficacemente i muscoli della mano e del braccio in cinque primati non umani paralizzati impiantando i due elettrodi in fasci di fibre nervose chiamati fascicoli. I nuovi elettrodi intrafascicolari – chiamati Mk-Time – stimolano quindi le fibre motorie dei nervi mediano e radiale, attivando selettivamente e in modo affidabile i muscoli estrinseci e intrinseci della mano, e generando più prese funzionali, apertura della mano e forze di contrazione. Fra in movimenti testati con successo, nell’articolo si riportano l’opposizione del pollice, la flessione del polso, la presa a cilindro (quella utile ad afferrare un bicchiere, per intenderci), la presa a “pizzico” (quella che si usa per mettere il sale) o la presa sferica (che ci consente di afferrare una pallina da tennis).

“I nostri elettrodi permettono di ri-attivare il controllo di molti muscoli e quindi – per ora lo sappiamo su primate non umano – di ri-attivare movimenti fini delle dita” spiega a Galileo Silvestro Micera, professore all’Ecole Polytechnique Federale di Losanna, in Svizzera, e della Scuola Superiore Sant’Anna, a Pisa, e autore dello studio. “Nei primati i risultati sono stati incoraggianti e speriamo di poterli confermare anche coi pazienti”. Per quanto invasivo, poi, questo tipo di impianto non è nuovo in ambito riabilitativo. “Sebbene i test eseguiti finora abbiano coinvolto esemplari di primati non umani, non ci aspettiamo di vedere danni particolari negli esseri umani perché gli elettrodi che impiantiamo nei nervi periferici vengono già utilizzati per trattare altre problematiche, come il ritorno sensoriale nei pazienti amputati, ad esempio” continua Micera. Nel corso dello studio, gli elettrodi sono stati mantenuti per 2 mesi e gli animali non hanno mostrato segni di disagio o dolore.

In una seconda fase, il sistema di elettrodi è stato testato su una scimmia con paralisi transitoria della mano: lo scopo era riuscire a farle eseguire un compito volontario che richiedesse l’attivazione di muscoli parzialmente paralizzati. Per studiare la possibilità di recuperare, attraverso Mk-Time, il reclutamento dei muscoli del polso e delle dita in assenza di circuiti spinali completamente funzionali, la scimmia è stata sottoposta a un blocco nervoso farmacologico temporaneo, che inibisse il trasferimento dei segnali dal cervello attraverso il nervo. Come se, a prescindere dalla volontà di compiere il movimento, questo era comunque impedito (a differenza degli altri casi in cui i movimenti erano in qualche modo passivi). Anche in questo caso il risultato è stato incoraggiante e l’animale è riuscito a compiere un esercizio funzionale di presa in seguito alla stimolazione.

L’ultimo passo è testare questo nuovo metodo su pazienti umani.“La struttura dei nervi di primati non umani e umani e molto simile quindi non mi aspetto grosse differenze. Sull’efficacia e durata del recupero dobbiamo vedere visto che per l’applicazione clinica recluteremo pazienti che hanno problemi motori e quindi condizioni di recupero più difficili” conclude Micera. “Stiamo cominciando a lavorare alla sottomissione dei protocolli per impianti nei pazienti tetraplegici (con lesioni del midollo spinale con problemi motori dall’arto superiore in giù) e con pazienti post-ictus”.

Riferimenti: Science Translational Medicine

Credits immagine: James Lee on Unsplash