Strasburgo boccia un altro pezzo della legge 40

La legge 40 non può vietare a una coppia portatrice sana di fibrosi cistica di accedere alle tecniche di procreazione assistita (Pma) e di eseguire la diagnosi preimpianto degli embrioni. Anche se i coniugi sono fertili. Così si è espressa questa mattina la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Infatti la norma italiana, che attualmente esclude dalla Pma le coppie fertili (a meno che l’uomo non abbia malattie sessualmente trasmissibili, vedi Galileo), viola gli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quelli che sanciscono il diritto al rispetto della vita privata e familiare e il divieto di fare discriminazioni. Inoltre la norma è in contraddizione con un’altra legge, quella che permette di ricorrere all’aborto terapeutico qualora il feto fosse affetto dalla malattia.

A chiedere l’intervento dei giudici di Strasburgo erano stati, nel 2010, Rosetta Costa e Walter Pavan, entrambi portatori della mutazione per la fibrosi cistica. Le probabilità che la malattia genetica sia trasmessa a un figlio in questi casi sono alte: una su quattro. In Europa, lo screening preimpianto è già consentito in situazioni simili in 15 paesi.

La sentenza è però provvisoria. Ora l’altra parte in causa, lo Stato italiano, ha tre mesi di tempo per fare ricorso alla Grande Camera (che già lo scorso novembre era intervenuta per ribaltare una sentenza della Corte di Strasburgo sulla fecondazione eterologa, vedi Galileo). Se diverrà definitiva, la coppia in causa potrà accedere alla diagnosi preimpianto e avrà anche diritto a 15mila euro per danni morali, oltre al rimborso delle spese legali di 2.500 euro.

E per le altre coppie nella stessa situazione? L’iter sarebbe ancora lungo. La sentenza non sarebbe infatti vincolante per l’Italia, dal momento che non ha lo stesso valore di una sentenza della Corte Costituzionale, ma si adatta solo al caso specifico. “Di certo, però, rappresenterebbe un principio importante cui gli Stati membri dovrebbero attenersi, adeguando le proprie leggi”, ha commentato Marilisa D’Amico, costituzionalista dell’Università di Milano: “Non farlo potrebbe significare per questi Stati dover risarcire moltissime coppie in questa stessa situazione”.

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