Stress, di madre in figlio

Un neonato la cui madre, durante la gravidanza, sia stata sottoposta a condizioni psicologicamente stressanti sembra essere destinato a non rispondere in maniera adeguata allo stress. Lo dimostra uno studio, condotto su modelli animali allo scopo di comprendere i meccanismi che determinano le differenze individuali nella capacità di adattamento al contesto ambientale e sociale. “Abbiamo lavorato su primati e ratti sottoposti, durante la gestazione, a situazioni stressanti analoghe a quelle che possono coinvolgere l’essere umano”, spiega Andrea Sgoifo del Laboratorio di Fisiologia dello Stress del dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale dell’Università di Parma. La ricerca ha dimostrato che le fasi cruciali sono le prime, quelle che seguono l’inizio della gestazione, e soprattutto gli ultimi mesi di gravidanza. “In particolare l’ambiente perinatale (ovvero l’insieme dei fattori che agiscono sull’individuo nelle settimane che precedono e seguono il parto) si è rivelato un modulatore cruciale nello sviluppo delle caratteristiche individuali riscontrate in età adulta”, va avanti il ricercatore che fa parte della Scuola Internazionale di Etologia del Centro di cultura scientifica ‘’Ettore Majorana’’ di Erice, diretta da Danilo Mainardi.. La capacità di adattamento a condizioni di stress, come pure la differente vulnerabilità alle malattie di tipo psicosomatico (patologie immunitarie e gastroenteriche) e alle psicopatologie (ansia e depressione), dipenderebbe, inoltre, anche dalle interazioni fra l’ambiente perinatale e il corredo genetico ereditato. La ricerca mette infatti in evidenza che la trasmissione della differente vulnerabilità allo stress, tra un individuo e l’altro, sembra protrarsi nel tempo: una condizione cioè che permane anche in età adulta. Dario Maestripieri, ricercatore italiano che lavora come professore associato al dipartimento di Sviluppo Umano, Psicologia e Biologia dell’Evoluzione dell’Università di Chicago (Usa), dice, per esempio, che “piccoli primati, nati da madri sottoposte a stress elevato durante la gravidanza (mancanza di cibo, aggressione da parte di altri individui, instabilità ambientale) sono più ansiosi e maggiormente reattivi allo stress. Una condizione di maggiore suscettibilità che rimarrà anche dopo l’adolescenza”. Maestripieri ha studiato anche l’influenza che può avere il comportamento della mamma sul neonato durante la fase dello svezzamento: “nei roditori, figli che, durante la prima fase di crescita, hanno ricevuto molta cura ed attenzione dalle madri, sono meno reattivi allo stress”. Ma cosa succede durante la gravidanza e dopo il parto? Perché il cucciolo risente delle condizioni stressanti della madre? “Sia le condizioni ambientali in cui vivono le madri in gravidanza che il loro comportamento durante lo svezzamento”, spiega Maestripieri, “influenzano l’espressione dei geni deputati alla produzione di ormoni; ed è proprio l’influenza su questo complesso meccanismo a determinare comportamenti individuali differenti”.La reazione agli stress della vita hanno implicazioni non trascurabili sulla salute. La ricerca evidenzia molte affinità, a tal proposito, fra gli animali e l’essere umano. Fra le curiosità dello studio è emerso che la perdita di potere (perdita del predominio nel rango sociale nell’animale o estromissione da funzioni dirigenziali nell’umano) sembra essere negli organismi viventi uno degli stress con maggiori conseguenze negative e riflessi significativi sullo stato di salute: due distinti studi, condotti nell’Università di Parma da Andrea Sgoifo e nell’Istituto di Neuroscienze del Cnr di Roma da Alessandro Bartolomucci, hanno dimostrato che un animale che perde la dominanza su un gruppo va incontro ad alterazioni dei ritmi circadiani e della frequenza cardiaca con riduzione della funzionalità del sistema immunitario. Addirittura, un ratto maschio dominante, sottoposto per soli 15 minuti a una sconfitta sociale (sottomissione) subisce alterazioni della frequenza cardiaca che si protraggono per un paio di settimane. Premesso che, stando ad alcuni test di laboratorio, le alterazioni dei ritmi biologici dei ratti sono paragonabili a quelli riscontrati in esseri umani che attraversano uno stato depressivo, “fatte le debite proporzioni con le aspettative di vita dei ratti”, afferma Andrea Sgoifo, “15 minuti di stress corrispondono nell’umano ad alterazioni dei ritmi biologici di circa 12/18 mesi”.

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