Suicidio, una morte da nascondere

Un segno di debolezza, un gesto da condannare, una vergogna da nascondere. È quello che molti pensano del suicidio. Soprattutto se a uccidersi è un giovane. È a causa di questa diffusa percezione che almeno per il 25-30 per cento dei ragazzi che si tolgono la vita risultano morti per altre cause. È quanto emerge da una ricerca sul disagio giovanile condotta dall’Opera Don Calabria con il finanziamento del ministero della Sanità. “C’è un sentimento generale di condanna nei confronti della morte autoinflitta”, afferma Vittorino Andreoli, lo psichiatra che ha coordinatolo studio, “che porta a una tendenza a nascondere molti di questi episodi”. Oltre al suicidio, l’indagine esamina altri comportamenti “a rischio”, come la tossicodipendenza, l’alcolismo e i disturbi alimentari (anoressia e bulimia). Comune a tutti è il desiderio di distruggere se stessi, come il gusto della trasgressione e della ribellione. Ma ad accomunare le persone che vivono sull’orlo del precipizio è soprattutto il disinteresse per il futuro e la mancata percezione della morte. Qui, secondo Andreoli, sta la vera novità scientifica della ricerca. “Il giovane”, afferma lo psichiatra, “entra in contatto con il rischio, riconoscendo a questo non tanto un connotato di trasgressione o di ribellione, quanto un elemento di aggregazione e costruzione di identità”.(v.cam.)

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