Sulle tracce di Marco Polo

“Un giornalista incredibile, di una precisione assoluta. Anzi, il padre di tutti i giornalisti che si occupano di viaggi e di esplorazioni”. Con queste parole, Michael Yamashita, fotoreporter della National Geographic Society, descrive Marco Polo. E nessuno tra i contemporanei può farlo, forse, meglio di lui, che ne ha seguito le orme per tre anni, passo dopo passo, lungo le tappe del viaggio narrato nel Milione. Un percorso che, nel 1271, portò la civiltà occidentale ad affacciarsi per la prima volta su quella orientale. E che rivive adesso nelle foto di Yamashita in mostra fino al 22 giugno nella sede cinquecentesca di Palazzo Altemps a Roma. “Ho consultato gli archivi di National Geographic”, racconta il fotoreporter che collabora dal 1979 con l’associazione, “e ho scoperto che le ultime informazioni su Marco Polo risalivano al 1928 e che si trattava, per di più, di un servizio fotografico non di prima mano. Le immagini, cioè, erano state raccolte qua e là e fatte coincidere con i posti che si pensava avesse visitato. Allora ho proposto alla National Geographic di ripercorrere il viaggio del veneziano servendomi del Milione come guida e camminando io stesso sulle sue tracce”.Da Venezia fin nell’entroterra cinese attraversando tutto il Medio Oriente, dagli altopiani del Tibet al Laos e poi a ritroso dall’Indonesia verso Venezia via mare toccando le coste dell’India. Migliaia di scatti fotografici (100 dei quali sono stati selezionati per la mostra) che hanno immortalato gli infiniti spazi dell’Asia: gli immensi fiumi, gli sterminati deserti, le formicolanti città del Catai, le piante rare e gli animali esotici, gli usi e i costumi di popoli remoti. Tutto quello, insomma, che l’esploratore veneziano aveva osservato nei suoi 25 anni di permanenza in Cina alla corte del Gran Khan, e fedelmente annotato poi, ironia della sorte, nello spazio angusto delle carceri genovesi (dove giunse nel 1298 dopo essere stato catturato nella battaglia tra Genovesi e Veneziani e dove scrisse appunto, insieme a Rustichello, suo compagno di prigionia, il Milione). “Mi sono recato dagli anziani e dai sindaci dei villaggi per chiedere informazioni, continuamente”, racconta Yamashita. “E ogni volta che riuscivo a trovare quello che era nel libro, era per me un successo e fonte di grande gioia. Non è stato ovviamente possibile rintracciare sempre tutto, anche perché alcuni luoghi non esistono più”.La mostra, promossa da National Geographic e dalle edizioni Whitestar di Vercelli, è organizzata come un itinerario dove le immagini fotografiche sono accompagnate da antichi reperti cinesi, indiani e afgani, provenienti dalla collezione Renzo Freschi Oriental Art di Milano. A testimonianza della simbiosi, quasi palpabile in questi luoghi più che altrove, tra la storia e l’attualità. Yamashita, infatti, non ha voluto solamente verificare la fondatezza storica di quanto Marco Polo aveva scritto, ma anche testimoniare come, in questa parte del mondo, il passato sia ancora incredibilmente presente e, spesso, invadente. Si tratta di posti, infatti, dove all’inizio del terzo millennio, sopravvivono le stesse tradizioni secolari del XIII secolo. Attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, scorgiamo così alcune donne mentre setacciano il riso nelle pianure e altre che, lungo i sentieri scoscesi di un paesaggio roccioso, mungono femmine di yak; un gruppo di uomini intenti a cercare l’oro nelle acque del fiume Mekong e monaci in meditazione o mentre suonano i tradizionali corni lunghi quattro metri. Pellegrini in prostrazioni rituali lungo il viaggio verso il monastero e altri nell’atto di venerare una vacca sacra davanti al tempio del dio elefante Gamesha. E poi le donne anziane, vestite con abiti lunghissimi, da cui tuttavia si intravedono i piccoli piedi fasciati. Marco Polo, e quindi Yamashia, hanno calpestato anche il suolo afgano e quello iracheno, balzati recentemente agli onori della cronaca. Terre che racchiudono una preziosa memoria storica minacciata ora dalla guerra. “Nessuno avrebbe mai immaginato”, afferma Yamashita, “che ci sarebbe stato l’11 settembre seguito dalla guerra in Afghanistan e da quella in Iraq. Oggi guardo queste immagini con uno spirito diverso, uno spirito nostalgico, poiché ritraggono alcuni posti forse per l’ultima volta. È già successo in Afghanistan, un paese biblico andato distrutto. Massud, leader della resistenza, amava molto i giornalisti perché riteneva che attraverso di loro il mondo avrebbe potuto conoscere la sua causa e aiutarlo. Ho volato in elicottero con lui tante volte e la notizia del suo assassinio è stata per me scioccante”. E adesso l’Iraq. “Ho attraversato questa terra senza paura sempre accompagnato da una guida statale: forse le autorità hanno colto l’occasione del mio reportage per far vedere al resto del mondo l’immagine non politica dell’Iraq. E adesso mi rattrista il pensiero che molte delle cose e delle persone che ho fotografato non sopravvivranno”.

Marco Polo – Michael Yamashita. Un fotografo sulle tracce del passato
Palazzo Altemps
Piazza Sant’Apollinnare 46, Roma
Fino al 22 giugno
Orario: Da martedì a domenica 9,00 – 19,45Chiuso il lunedì
Biglietto euro 5,00 Per informazioni Tel.:0161/293332

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