Da diversi giorni, esattamente dal 15 gennaio scorso, il bollettino della Protezione civile include, oltre ai classici tamponi molecolari, anche i test antigenici. Ricordiamo, infatti, che in un recente documento il ministero della Salute aveva dato il via libera, con alcune raccomandazioni, per i test rapidi antigenici per accertare i casi di positività o negatività a Covid-19, consentendo di fatto di inserire nel conteggio giornaliero dei test effettuati anche quelli rapidi (in una colonna a parte). Non tutti, però, hanno ancora le idee chiare ed ecco quindi quali differenze ci sono tra i due test per rilevare il coronavirus e quali sono, invece, le criticità.
Test rapidi per Covid-19, molecolari, antigenici, salivari: come orientarsi
Il tampone molecolare, come riporta il ministero, è attualmente il gold standard internazionale per la diagnosi di Covid-19 in termini di sensibilità e specificità. Si basa sul prelievo di un campione tramite un tampone naso-faringeo, che viene poi esaminato con metodi molecolari real-time Rt-Pcr (Reverse Transcription-Polymerase Chain Reaction) per l’amplificazione dei geni virali maggiormente espressi durante l’infezione. Un esame, perciò, che consente, in media dalle due alle sei ore di analisi in un laboratorio specializzato, di rilevare la presenza del genoma del coronavirus. “Alla luce dell’emergenza di mutazioni del gene che codifica per la proteina spike, si sconsiglia l’utilizzo di test basati esclusivamente sul gene S per il rilevamento dell’infezione da Sars-Cov-2 mediante Rt-Pcr”, si legge nella nota.
I test antigenici, invece, si basano su un principio diverso dai molecolari, e in particolare sulla presenza di proteine virali, appunto gli antigeni. Anche in questo caso, la raccolta del campioni avviene tramite un tampone naso-faringeo, ma i tempi di risposta sono molto più brevi, in media 15 minuti circa. Tuttavia, il loro punto debole sono la sensibilità e la specificità, la percentuale di falsi positivi e negativi, che sembrano essere inferiori a quelle dei molecolari, almeno per quanto riguarda i test di prima e seconda generazione. “Sono disponibili diversi tipi di test antigenico, dai saggi immunocromatografici lateral flow (prima generazione) ai test a lettura immunofluorescente, i quali hanno migliori prestazioni”, ricorda il ministero, sottolineando che solo quelli di ultima generazione (immunofluorescenza con lettura in microfluidica) sembrano mostrare risultati sovrapponibili ai saggi di Rt-Pcr, soprattutto se utilizzati entro la prima settimana di infezione. “Qualora le condizioni cliniche del paziente mostrino delle discordanze con il test di ultima generazione la Rt-Pcr rimane comunque il gold standard per la conferma della Covid-19”, precisano dal ministero.
Proprio per i loro limiti, quindi, nel caso in cui i test antigenici rapidi di ultima generazione o i molecolari non siano disponibili, nel documento viene raccomandato il ricorso agli antigenici che abbiano requisiti minimi di performance di ≥80% di sensibilità e ≥97% di specificità. “L’Ecdc suggerisce, soprattutto in situazioni di bassa prevalenza di Sars-Cov-2, di utilizzare test con prestazioni più vicine alla Rt-Pcr, vale a dire sensibilità ≥90% e specificità ≥97%”, precisano dal ministero. Il ricorso agli antigenici, inoltre, viene consigliato in situazioni ad alta prevalenza, per testare contatti sintomatici e favorire l’individuazione precoce di ulteriori casi; in comunità chiuse, come carceri e centri di accoglienza, e in contensti sanitari e socioassistenziali/sociosanitari. Il loro utilizzo, inoltre, può essere raccomandato anche per testare persone senza sintomi, per esempio nelle attività di contact tracing per individuare i contatti asintomatici con alto rischio di esposizione.
Considerando il loro margine di errore superiore, bisogna quindi fare ancora più attenzione nella lettura e nell’interpretazione dei nuovi dati dei bollettini quotidiani della Protezione civile.
Via: Wired.it
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