Vita

I segreti dei tardigradi

Resistenti più dell’acciaio, ma flessibili come orsetti di peluche. Stiamo parlando dei tardigradi, microscopici invertebrati, abitanti dei fondali oceanici e delle rocce, che possono vivere senza acqua per più di 30 anni. Oggi, uno studio guidato dall’Università di Edimburgo accende una nuova luce sul DNA di questi animali, per comprendere quali impalcature genetiche siano alla base della loro famosa indistruttibilità. Si tratta forse dell’unica specie, infatti, in grado di sopravvivere anche alle peggiori catastrofi astronomiche, come l’eventuale impatto di un asteroide o l’esplosione di una stella vicinissima. I risultati della ricerca sono pubblicati su PLOS Biology.

Ma sui tardigradi i riflettori si sono accesi già alcuni anni fa, quando per la prima volta è stata osservata la loro resistenza a diversi effetti avversi, fatali per l’essere umano, dalla disidratazione al gelo, dal calore estremo al vuoto spinto: senza idratazione, “risorgevano” anni dopo, quando l’acqua era di nuovo accessibile. Inoltre, sono stati congelati, esposti alle radiazioni e inviati nel vuoto dello Spazio, e sono sopravvissuti a tutte queste trasformazioni. Un recente studio ha suggerito che questi animali siano il frutto di una sorta di collage biologico, un mix di segmenti di animali e batteri che, uniti insieme, avrebbero confezionato degli ibridi alla “Frankenstein”. Ma la ricerca di oggi abbandona questa idea, evidenziando che il DNA del tardigrado risulta “normale” e non proveniente da un mix di altre specie, mentre la presenza di geni esterni potrebbe essere il prodotto della contaminazione biologica da parte di batteri entrati in contatto con l’animale.

Ma se il tardigrado è un animale “normale”, qual è la sua esatta posizione nel regno animale? Le sue caratteristiche lo rendono infatti simile sia agli artropodi, fra cui vi sono insetti e ragni, sia ai nematodi, fra cui piccoli vermi e parassiti. E oggi gli scienziati sono riusciti a capire a quale di queste due categorie si avvicina di più. Se da un lato il suo aspetto fisico, in particolare le sue otto zampette tozze, farebbero propendere per l’appartenenza agli artropodi, a sorpresa il DNA dell’animale rivela una maggiore somiglianza con i nematodi. Osservando uno specifico gruppo di geni, chiamati Hox, i ricercatori hanno osservato che in questo gruppo mancavano gli stessi cinque componenti genetici che sono assenti anche nei nematodi.

Ma non è tutto: i ricercatori hanno anche individuato alcuni geni di cui i tardigradi si servono per resistere all’essiccazione. Gli autori dello studio, infatti, hanno visto che durante il processo nel quale il tardigrado viene disidratato, dunque perde l’acqua contenuta nel suo corpo, un gruppo di nuove proteine va a riempire gli spazi dove prima era contenuta l’acqua, reidratando in qualche modo l’organismo. E poi vi sono anche altre proteine che fanno da scudo al DNA di questo piccolo invertebrato contro il danno dovuto alle radiazioni. Come se il tardigrado trovasse dentro di sé, e non all’esterno, le forze per resistere alla fame, alla sete e ad agenti stressanti che ucciderebbero la maggior parte delle altre specie animali.

Riferimenti: PLOS Biology

Viola Rita

Giornalista scientifica. Dopo la maturità classica e la laurea in Fisica, dal 2012 si occupa con grande interesse e a tempo pieno di divulgazione e comunicazione scientifica. A Galileo dal 2017, collabora con La Repubblica.it e Mente&Cervello. Nel 2012 ha vinto il premio giornalistico “Riccardo Tomassetti”.

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