Ambiente

La tartaruga Giulietta torna in mare: speriamo che se la cavi!

“Io speriamo che me la cavo”, avrà pensato Giulietta, correndo verso il mare. Giulietta è una tartaruga Caretta caretta  liberata sabato scorso sulla spiaggia di Campomarino di Maruggio, a pochi chilometri a nord di Taranto. Soccorsa per alcune ferite da taglio sul carapace, la tartaruga aveva già perso un arto a causa di un vecchio incidente. All’Oasi WWF di Policoro  l’hanno curata (e schedata) in collaborazione con la Sea Turtle Clinic dell’Università di Bari. Infine, dopo circa 4 mesi di cure, ha ripreso il largo al cospetto di un nutrito gruppo di fan che facevano il tifo per lei. Ben consapevoli dei rischi a cui le attività umane espongono le specie marine. Basti pensare che ogni anno nel Mediterraneo circa 133 mila tartarughe vengono catturate accidentalmente, con ami e reti da pesca.

Tre specie di tartaruga nel Mediterraneo

Sono tre le specie di tartaruga che vivono e si riproducono nel bacino del Mediterraneo, dall’Italia alla Tunisia toccando le coste libiche, il Libano, Israele: la tartaruga comune (Caretta caretta), la più diffusa nelle acque di casa nostra, la tartaruga verde (Chelonia mydas) e la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea). Nelle zone costiere di queste aree si monitorano ogni anno circa 7200 covate, spiegano gli esperti di Euroturtles, un progetto europeo finalizzato alla salvaguardia e alla conservazione delle due specie più presenti nel Mediterraneo, Caretta caretta e Chelonia mydas.

I pericoli in mare e sulle spiagge

Purtroppo ogni anno circa 133 mila tartarughe marine vengono catturate accidentalmente nelle attività di pesca, prese allamo o impigliate nelle reti. La maggior parte vengono poi rimesse in mare ma questo non basta a salvarle tutte. Una su cinque, infatti, non sopravvive. “Le tartarughe sono animali polmonati, come l’essere umano. La rapidità con cui vengono tirate in superficie dalle reti da pesca provoca spesso embolie gassose arteriose, proprio come accade ai sub durante gli incidenti di risalita”, spiega Francesca Ardolino, medico veterinario del centro di recupero di Policoro. Un altro grande nemico per la fauna marina, e in particolar modo per le tartarughe, è la plastica. Le tartarughe infatti si cibano di piccoli pesci e di zooplancton, soprattutto di meduse: una busta di plastica che fluttua nel mare diventa quindi molto spesso l’ultimo pasto di questi animali.

Secondo uno studio del 2015 il 52% della popolazione mondiale di tartarughe marine ha ingerito buste o sacchetti di plastica. I danni sono numerosi: dalla perforazione dell’intestino all’avvelenamento al blocco intestinale. Non meno pericoloso è l’inquinamento acustico e luminoso. Sempre più spesso infatti i piccoli di tartaruga appena nati vengono distratti dall’illuminazione pubblica o dai forti rumori dei festeggiamenti estivi abbandonando la via del mare e trovando la morte sulle strade della litoranea. Le attività di monitoraggio, educazione ambientale e messa in sicurezza dei siti di nidificazione diventando quindi fondamentali per salvaguardare il nostro patrimonio naturale, sviluppare un turismo ecosostenibile, e formare cittadini rispettosi dell’ambiente.

Simona Perrone

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