Tecnologie a difesa dell’Arte

    Ricordate? Il 20 maggio scorso, i “soliti ignoti” penetrarono con destrezza nella Galleria d’arte moderna di Roma, portando via due dipinti di Van Gogh ed uno di Cezanne, per un valore di oltre 70 miliardi di lire. “I sistemi di sicurezza dei musei sono un colaborodo”, disse allora qualcuno. E la paura di un patrimonio artistico in balia del primo venuto cominciò a farsi strada anche nelle autorità. Ma l’idea di tenere le opere d’arte sotto chiave non convince. E così, questa settimana riapre i battenti Palazzo Massimo, costruito un secolo fa a Roma in Piazza dei Cinquecento, destinato a diventare la sede centrale del sistema museale archeologico romano. Gli esperti rassicurano: si garantisce la massima sicurezza, sia nel caso di furti, che di eventi distruttivi come incendi o terremoti. Ma quali sono i criteri con cui oggi si progetta un sistema di protezione di un museo?

    La tendenza degli ultimi dieci anni è quella di andare verso l’integrazione di diverse tecnologie, e la loro centralizzazione. In altre parole, l’obiettivo è quello di utilizzare più sistemi di allarme contemporaneamente, in modo che, ad esempio, se una barriera a microonde viene oltrepassata, si attivi prontamente la telecamera della Tv a circuito chiuso, e il custode possa vedere cosa succede. Non solo: grazie ai microprocessori, allo sviluppo di software sempre più avanzato e all’uso massiccio dei computer, si può raggiungere l’automatismo del sistema. Che, se ben progettato, assomiglia a un corpo unico dotato di sensori, canali di trasmissione dei segnali, e una centrale per tenere sotto controllo l’impianto.

    Alla periferia, i sensori di un impianto di sicurezza rilevano i tentativi di intrusione, ma anche gli eccessivi avvicinamenti a un’opera d’arte, o i tentativi di furto. “I più comuni sono quelli a contatto magnetico”, spiega Romano Satta, l’ingegnere che ha progettato gli impianti di sicurezza di Palazzo Venezia a Roma. “Quelli posizionati su porte e finestre fanno scattare l’allarme in caso di apertura, mentre quelli applicati dietro una tela impediscono che questa venga staccata senza che nessuno se ne accorga. Con i sensori a infrarossi si creano le cosiddette ‘barriere a tendina’ di fronte a una parete di quadri. Altro tipo di barriere sono quelle a microonde: un trasmettitore emette un segnale continuo a una certa frequenza che, dopo essere stato riflesso dal pavimento, dalle pareti e dagli oggetti circostanti, arriva a un ricevitore. Se c’è un corpo in movimento, il segnale verrà alterato e la sua frequenza leggermente diversa farà scattare l’allarme. I sensori gravitometrici si applicano al filo di naylon o acciaio a cui è appeso un quadro e ne misurano la variazione del peso, nel caso di oscillazioni dovute a una pressione esterna o a un tentativo di furto”.

    Le telecamere del circuito chiuso sono invece particolarmente utili quando si vogliono proteggere le sculture, cioè quando è praticamente impossibile creare tendine o barriere a infrarosso. In questo caso, la protezione dagli atti di vandalismo è difficile, se si vuole consentire ai visitatori la possibilità di girare intorno all’opera. Una soluzione adottata in altri paesi è quella di inserire la scultura in un’enorme struttura cilindrica trasparente.

    E per la sicurezza in caso di incendi? “Esistono sensori ottici che rilevano la presenza di fumo, o dispositivi termici basati sull’infrarosso” continua Satta. E per reagire al fuoco, si possono installare sonde antincendio che entrino automaticamente in funzione, nel momento in cui scatta l’allarme. All’avanguardia sono le sonde Soyus della Ademco, capsule ad aerosol che inibiscono il radicale potassio, bloccando sul nascere l’incendio. Inventate dai russi per le navicelle spaziali, sembrano essere il modo migliore per intervenire a fermare un incendio, in un locale dove vi sono opere d’arte. L’unico problema è l’effetto nebbia, che può creare panico nei visitatori, ma è in questo caso che in un sistema ben progettato entra in gioco l’integrazione. Attraverso per esempio un messaggio sonoro che tranquillizzi le persone, dicendo esattamente quello che sta succedendo.

    Le diverse tecnologie sono collegate da normali cavi, o più recentemente da ponti radio. Alcuni sensori possono inviare via radio i loro segnali a una centralina. “In questo caso è buona regola trasmettere su diverse frequenze, perché il messaggio non possa essere intercettato, e mettere a punto un meccanismo di supervisione”, spiega Satta. “In altre parole, il sensore deve inviare regolarmente un segnale di riconoscimento, in modo che se viene tolto o manomesso, la centrale è in grado di accorgersene. Per questo si parla oggi di sensori e centrali intelligenti, cioè di apparati che oltre a tenere sotto controllo l’ambiente, sorvegliano il loro stesso stato, per evitare problemi di falso allarme o errato funzionamento”.

    Il cuore di un sistema di sicurezza ben congegnato è la centrale, che gestisce le varie segnalazioni provenienti dai rivelatori ed è in grado di avviare le reazioni. Del sistema fanno parte le centraline digitali, distribuite per esempio su ogni piano di un museo, a portata d’occhio del custode, e i veri e propri concentratori, che gestiscono tutto il sistema di sicurezza. Questi ultimi possono gestire e controllare diverse strutture, come musei, chiese, gallerie, a livello regionale. La centrale operativa della capitale, per esempio, controlla oggi 34 musei.

    Le tecnologie per evitare intrusioni come quella del maggio scorso, dunque, non mancano. Negli Stati Uniti ormai si realizzano sistemi di sicurezza centralizzati che tengono sotto controllo interi quartieri, università e luoghi pubblici. Tuttavia, è impossibile ricostruire il quadro dettagliato di come venga risolto il problema della sicurezza nei musei italiani. Le possibilità teoriche all’avanguardia sono tante, ma non sempre è possibile gestirne le applicazioni. Per ovvie ragioni di riservatezza, insomma, gli esperti del settore non si sbilanciano troppo sui dettagli dei sistemi di sicurezza. Speriamo però che a Palazzo Massimo, recuperato dallo Stato italiano dopo oltre vent’anni di abbandono, alle nuove tecnologie si affianchi una ben addestrata squadra di custodi.

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