Quanto è efficace la terza dose del vaccino

Terza dose

Oggi, in Italia, sono circa 45 milioni le persone che hanno completato il ciclo di due dosi di vaccino anti Covid-19, pari all’83% circa della popolazione over 12. E un altro milione e 700mila persone, inoltre, hanno già ricevuto la terza dose: più in dettaglio, a 277mila persone è stata somministrata la cosiddetta dose addizionale, mentre 1 milione e mezzo di persone hanno ricevuto il booster. Tecnicamente, le due cose sono diverse: la dose addizionale, infatti, è quella che viene somministrata ai pazienti fragili, e serve a rinforzare la risposta immunitaria nei soggetti il cui sistema immunitario non reagisce abbastanza bene al ciclo vaccinale standard. Il booster, invece, o dose di richiamo, è quello che serve a contrastare il naturale effetto di diminuzione della risposta immunitaria, un po’ come se si stesse ricominciando il ciclo vaccinale. 

A poco più un mese dall’inizio della somministrazione delle terze dosi (la campagna è cominciata ufficialmente il 20 settembre scorso) la comunità scientifica continua a studiarne l’efficacia, e sono sempre più gli studi e i trial clinici condotti sul tema. Ultimo in ordine di pubblicazione è un lavoro pubblicato su Lancet dagli esperti del Clalit Research Institute israeliano, coadiuvati con i colleghi della Harvard University: è il più estensivo studio real world (cioè effettuato su dati provenienti dal mondo reale e non arruolando pazienti ad hoc) mai condotto finora sulla questione, e quindi, almeno in teoria, dovrebbe permettere quindi di valutare con un certo grado di affidabilità l’efficacia della somministrazione della terza dose e l’opportunità (o meno) di estenderla a tutta la popolazione. Il condizionale, come vedremo, non è posto a caso.


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Cosa dicono gli studi finora

Prima di addentrarci nella disamina del lavoro appena pubblicato, facciamo un ripasso (per sommi capi) della letteratura esistente, spigolando i lavori più significativi pubblicati nei mesi scorsi. Uno di questi è uno studio apparso poco più di un mese fa sulle pagine del New England Journal of Medicine (Nejm), condotto su circa un milione di pazienti israeliani ultrasessantenni che hanno ricevuto la terza dose di vaccino. Gli autori del lavoro hanno osservato che il tasso di infezioni e il rischio di contrarre il Covid-19 in forma grave diminuiscono rispettivamente, di 11 e di 20 volte rispetto ai pazienti che non hanno ricevuto il richiamo. 

Analoghe conclusioni per uno studio (condotto da Pfizer, la casa produttrice del vaccino, è d’obbligo ricordarlo) nell’agosto scorso su un campione di poche centinaia di pazienti, che ha evidenziato che “la terza dose di vaccino induce una significativa produzione di anticorpi” e per una lettera pubblicata sempre sul Nejm (e basata sui risultati preliminari di un trial clinico ancora in corso) che spiega come “sebbene l’efficacia del vaccino contro le forme gravi della malattia, l’ospedalizzazione e la morte resti piuttosto alta anche nel caso di ciclo standard [cioè con due dosi, nda], la diminuzione della risposta immunitaria nel tempo e la diversificazione del virus giustificano la potenziale necessità di somministrare un richiamo”. E ancora: a settembre scorso Moderna ha pubblicato i risultati di un trial clinico che sembrerebbero dimostrare che la somministrazione di una dose ridotta del proprio vaccino aumenti in modo significativo i livelli di anticorpi efficaci anche contro la variante delta, e ha condiviso questi dati con la Food and Drug Administration (Fda) statunitense per ricevere l’autorizzazione alla somministrazione.

Il nuovo studio, quello apparso sul Lancet, sostanzialmente corrobora quanto già osservato nei lavori che abbiamo appena citato, e cioè che la terza dose di vaccino è efficace nell’aumentare la protezione immunitaria e di conseguenza nel diminuire la probabilità di ospedalizzazioni e decessi. È stato condotto dal 30 luglio al 23 settembre 2021, in coincidenza con la quarta ondata di contagi in Israele, durante i quali la variante dominante era la delta, su 728.321 individui di età superiore a 12 anni che hanno ricevuto la terza dose di vaccino. Tutti i soggetti sono stati “abbinati” uno a uno ad altrettanti individui che invece hanno ricevuto soltanto due dosi di vaccino almeno cinque mesi prima.  Questo abbinamento è stato effettuato facendo sì che tutte le coppie di persone fossero comparabili per variabili demografiche, geografiche e relative allo stato di salute (associate, nello specifico, al rischio di infezione, al rischio di sviluppare la malattia in forma grave, allo stato di salute complessiva e allo stile di vita). Gli individui sono stati assegnati “dinamicamente” a ciascun gruppo sulla base del loro stato di vaccinazione (quasi 200mila persone, per esempio, sono passate dal gruppo di controllo all’altro nel corso dello studio).

Le conclusioni della ricerca

Questi i risultati: gli individui che hanno ricevuto tre dosi di vaccino sono risultati avere un rischio inferiore del 93% per quanto riguarda le ospedalizzazioni, del 92% per quanto riguarda il rischio di sviluppare una forma grave della malattia e dell’81% per quanto riguarda il decesso. Ovvero, in numeri assoluto: si sono registrate 231 ospedalizzazioni nel gruppo di controllo e 29 nel gruppo che ha ricevuto la terza dose; 157 casi di malattia grave nel gruppo di controllo e 17 in quello con tre dosi; 44 decessi tra coloro che hanno ricevuto due dosi e 7 tra quelli che ne hanno ricevuti tre. L’efficacia del vaccino è risultata indipendente da sesso, età (in particolare per le fasce 40-69 anni e over 70) e numero di comorbidità. E ancora: i risultati mostrano che i tassi di infezione tendono a diminuire, per tutte le classi d’età, circa 7-10 giorni dopo che quella classe d’età viene dichiarata “eleggibile” per la terza dose di vaccino.

Tuttavia, ci sono da fare alcune precisazioni. “Pur ribadendo l’importanza di uno studio con un campione così grande”, ci ha spiegato Francesco Scaglione, farmacologo e direttore della struttura di analisi chimico-cliniche e microbiologia dell’Ospedale Niguarda di Milano, “non dobbiamo dimenticare che si tratta di uno studio retrospettivo, utile cioè a dare la ‘fotografia’ di una data situazione, ma che aiuta poco a capire quali soggetti dovrebbero avere la priorità nella somministrazione della terza dose e se è effettivamente opportuno estenderla a tutti. Abbiamo ormai capito che la somministrazione della terza dose è utile, ma dobbiamo identificare quali coorti di popolazione dovrebbero avere la priorità”. 

Tra l’altro, riguardo alla terza dose bisognerebbe anche tenere conto di considerazioni di ordine sanitario: se in una parte del mondo (la nostra, la più ricca) la campagna vaccinale primaria è stata quasi completata e ci si può permettere di parlare di terze dosi, meno del 5% della popolazione dei paesi a basso reddito ha ricevuto almeno una dose di vaccino. Uno scenario da tenere ben presente quando si parla di priorità

Via: Wired.it
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