Tigre, leone ed elefante: gli animali più popolari sono anche più a rischio di estinzione

via Pixabay

Attraente, potente, raggiante, il leone, uno degli animali popolari nell’immaginario collettivo (basti pensare al Re Leone della Disney) è anche fra quelli più a rischio di estinzione. Insieme a lui, sono in pericolo anche le tigri, gli orsi polari ed altri mammiferi, popolari nei media, nelle foto, nei filmati e nei cartoni animati, ma anche nelle immagini commerciali come brand o loghi delle aziende. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, lo stesso pubblico che li ammira non è a conoscenza della loro vulnerabilità e ritiene che la loro popolarità sia una garanzia del fatto che siano specie in qualche modo privilegiate e dunque al sicuro. A mostrare questi dati è uno studio internazionale svolto dall’Oregon State University e dall‘Università di Parigi, i cui risultati sono pubblicati su Plos Biology.

I ricercatori hanno dapprima identificato le specie da loro definite come “carismatiche”, ovvero quelle più note al pubblico e più rappresentate dai media. Come? Analizzando interviste online, siti web dei giardini zoologici, questionari proposti alle scuole e film animati. Dai risultati emerge che la top ten è composta da mammiferi tutti di grossa taglia, guidata sul podio da tigreleone ed elefante, seguiti subito dopo dalla giraffa, dal leopardo, panda, ghepardo, orso polare, volpe grigia e gorilla. Non è un caso, probabilmente, che i più amati siano tutti grandi mammiferi, spiegano gli autori, dato che anche l’essere umano è un mammifero di grandi dimensioni.

La popolarità di questi animali è alimentata dalla loro continua e costante rappresentazione da parte dei media, sulla televisione, sulle immagini nelle riviste e anche a livello commerciale (si ricorda bene, ad esempio, il logo con il leone della casa cinematografica Metro-Goldwyn-Mayer, e Leone è anche un nome proprio di persona). Da un’altra indagine condotta dagli autori, emerge che in media un cittadino francese vede ogni mese un numero di immagini di leoni virtuali che è circa otto volte superiore a quello dei leoni che vivono in Africa occidentale (dell’ordine delle centinaia). Sempre in Francia, il pupazzo “Sofia la Giraffa” ha registrato 800mila acquisti, un numero otto volte superiore a quello delle giraffe che abitano l’Africa.

Ma il problema è che le persone spesso non sanno che questi animali così pubblicizzati e così amati sono anche fra quelli più in pericolo per la loro sopravvivenza. Secondo un’indagine condotta dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (Iucn) circa il 60% delle persone non sa che la giraffa, il leone e il leopardo sono in pericolo, come tutte le specie carismatiche della top ten identificata dagli autori. Qualche esempio? I numeri delle tigri, dei leoni  – tra gli animali in assoluto più popolari – hanno registrato rispettivamente un -55% negli ultimi 20 anni e un -54% in Africa negli ultimi 30 anni, secondo i dati Iucn (qui la lista delle specie minacciate), mentre si stima che i leoni selvaggi rimasti nei continenti Europa e Asia siano soltanto 175. Gli elefanti nelle foreste africane, inoltre, sono diminuiti ben del 62% negli ultimi 9 anni.

Il problema non è l’utilizzo dell’immagine del leone o della giraffa a scopo promozionale o commerciale di per sé. Tuttavia questa over-rappresentazione, sottolineano gli autori, può portare a pensare che questi grandi mammiferi siano non solo in prima linea sui media ma anche nel loro habitat naturale e dunque non corrano particolari rischi. Così, i ricercatori suggeriscono la possibilità che a fianco di questi brand e delle immagini pop vengano inserite informazioni educative per promuovere anche la protezione di queste specie. Già perché uno dei fattori che le pone in pericolo e che si può combattere riguarda l’uccisione da parte dell’essere umano per motivi di caccia, talvolta anche illegale (come il caso degli elefanti in Africa). Fra gli altri fattori, indicati dal WWF, distruzione degli habitat, commercio illegale, bracconaggio, inquinamento, cambiamenti climatici.

Riferimenti: Plos Biology

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