Torturati per una scatoletta

Completi e bilanciati, ricchi di omega 6 per un pelo lucido e sano, di fibre speciali per una buona digestione, di vitamine per rafforzare le difese immunitarie o, se il caso, in versione “light” per dimagrire. Chi possiede un cane o un gatto ha letto molte volte descrizioni di questo tipo sulle scatolette, sulle buste dei croccantini e sulle relative pagine pubblicitarie. Senza immaginare che le industrie del pet food possano compiere nei loro laboratori esperimenti cruenti proprio sugli animali. Motivi che lo scorso 17 novembre hanno spinto l’Organizzazione internazionale per la protezione degli animali a chiedere ai responsabili legali di alcune aziende produttrici di pet food di sottoscrivere una dichiarazione sull’utilizzo o meno di animali nei propri laboratori o in altri in “outsourcing”. L’iniziativa parte, in realtà, dal 1998. “Quell’anno”, racconta Antonella De Paola autrice di una “Guida ai prodotti non testati su animali” (Ed. Cosmopolis 2001), “la Lega antivivisezione, ottenuto dal Ministero della Salute l’elenco delle società italiane autorizzate a effettuare esperimenti su animali, rese noto che Friskies Italia era in possesso di un’autorizzazione ministeriale alla vivisezione su animali ‘minori’: uccelli, roditori, pesci e tartarughe. L’azienda si difese sostenendo che presso il suo stabilimento di Bertiolo, vicino Udine, gli animali venivano trattati benissimo e tenuti in cattività al solo scopo di osservare le loro preferenze alimentari”. Rimaneva però il mistero del perché la Friskies avesse bisogno di un’autorizzazione ministeriale alla vivisezione per “osservare” gli animali. “I dubbi si rinforzarono”, continua De Paola, “quando si scoprì che il mangime per pesci, uccelli e roditori commercializzato in Italia viene prodotto da Friskies France: perché studiare le preferenze alimentari degli uccelli se poi si produce solo mangime per cani e gatti?”. A partire anche dall’esperienza di People for Ethical Treatment of Animals (Peta), British Union for Abolition of Vivisection (Buav) e Uncaged Company, le maggiori associazioni animaliste nel mondo, che documentavano gli esperimenti cruenti su animali, cani e gatti inclusi, condotti dalle multinazionali del settore, “nel febbraio di quest’anno”, continua De Paola, “abbiamo stimolato una protesta anche in Italia contattando, via e-mail, un gran numero di associazioni, siti, gruppi, mailing list chiedendo loro di aderire a una sorta di “coordinamento scatoletta no-cruelty”. Il primo obiettivo era quello di convincere Friskies a rinunciare alla sua autorizzazione alla vivisezione, il secondo di indagare sul comportamento delle altre aziende, scrivendo loro delle lettere e, sulla base dei risultati, stilare un elenco di mangimi da sconsigliare ai consumatori. Con l’esclusione di Affinità petcare (proprietaria, tra gli altri, dei marchi Advance, Cat/Dog Chow), che si è dichiarata estranea alla pratica della vivisezione, le altre multinazionali (Nestlè, proprietaria di Friskies e Purina; Procter & Gamble, proprietaria dei marchi Iams ed Eukanuba; Mars, proprietaria dei marchi Pedigree e Royal Canin; Colgate Palmolive, proprietaria del marchio Hill’s) non hanno risposto”.Il silenzio della Iams è tuttavia molto eloquente, visto che nei suoi confronti pesano le immagini shock realizzate dalla Peta, rese note lo scorso aprile. “Gli animali vivono in gabbie strette, sporche e scomode”, dice Peter Wood, membro della Peta, che ha investigato per nove mesi uno degli stabilimenti della compagnia, “così piccole da impedire loro un movimento adeguato fino a farli impazzire. Così sporche da trasformarsi in veicoli di infezioni. Così scomode a causa delle sbarre di metallo di cui si compone il pavimento, tanto che le loro zampe riportano continue ferite”. Il pretesto è quello dei “taste test”, semplicissime prove di appetibilità: “in base alla quantità di scatoletta o di croccantini mangiati”, continua Wood, “si può capire quale è il gusto dell’animale. Lo stesso obiettivo, tuttavia, può essere raggiunto dando il cibo agli animali nei rifugi, nei canili o tramite gli “home test”, le prove di gusto effettuate su cani e gatti domestici dagli stessi proprietari”. Gli esperimenti sui prodotti dietetici e curativi, poi, potrebbero essere condotti nelle cliniche veterinarie, sui soggetti affetti dalle patologie di interesse, senza doverle indurre negli animali sani. “Noi invitiamo i consumatori a non comprare quelle marche che testano i prodotti sugli animali (sul sito dell’Oipa si trovano le liste delle marche “buone” e “cattive” continuamente aggiornate) ”, afferma De Paola, ” e, magari, chiedere al proprio negozio di fiducia o scrivere ai supermercati di non importarli, dopo averli ovviamente informati”. Inoltre, è possibile nutrire gli animali domestici con una dieta bilanciata, senza che, per questo, alcun animale abbia sofferto. “Con un po’ più di pazienza”, conclude De Paola, “possiamo cucinare prodotti freschi e naturali utilizzando magari particolari accorgimenti (per esempio niente sale, riso molto cotto e così via) che il veterinario può senz’altro consigliarci”.

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