Traballanti garanzie

Ci sono situazioni in cui essere allarmisti non è peccato. Se si teme per il mancato rispetto dei diritti umani, per esempio, diventarlo è non solo lecito, ma doveroso. Così Luigi Ferrajoli, professore di teoria del diritto all’Università di “Roma 3”, intervenuto lo scorso 23 ottobre a Roma al convegno “Diritti umani in Italia. Razzismo e tortura”, legittima le forti preoccupazioni di chi vede il nostro paese vacillare sul terreno delle garanzie fondamentali dell’individuo.

Due, come il titolo dell’incontro ricorda, i motivi che impediscono sonni tranquilli: la diffusione del razzismo e il mancato riconoscimento del reato di tortura. E poiché Ferrajoli è convinto che la percezione popolare dipenda in larga misura dai segnali provenienti dalle istituzioni, i politici che ci governano hanno grosse responsabilità.

Il disegno di legge, non ancora approvato, che prevede come aggravante la condizione di immigrato clandestino, con la sua forte connotazione razzista, alimenta la diffidenza verso gli stranieri. E la grossa lacuna del nostro codice penale sulla tortura ha conseguenze altrettanto gravi: “Non chiamare le cose con il loro nome legittima da parte del senso comune la rimozione del problema. Il reato di tortura contribuirebbe a creare invece una deontologia professionale che impedirebbe episodi come quello di Bolzaneto”, dice Ferrajoli.

Inadempiente sia nei confronti dei dettami costituzionali (articolo 13, comma 4 della Carta: “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”) che delle norme internazionali (c’è stata la firma ma non la ratifica del protocollo della Convenzione contro la tortura), l’Italia mostra due facce contrapposte: “A tanta enfasi nelle parole in difesa dei diritti umani corrisponde sempre più una diffusa violazione delle garanzie nei fatti”, dice Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, organo del Consiglio d’Europa.

E’ arrivato il momento, dice Palma, di passare alla pratica introducendo delle garanzie processuali già adottate in molti paesi europei. Prima tra tutte il divieto di un contatto diretto ed esclusivo tra inquisito e inquirente. Sin dal primo incontro con un rappresentante delle forze dell’ordine la persona fermata dovrebbe essere accompagnata da un terzo individuo che possa testimoniare eventuali soprusi. Evitare il “tete à tete” è il primo passo da compiere, sostiene Palma. Stupisce che dopo i fatti di Genova nessuno ci abbia ancora pensato.

Tra le intenzioni del convegno, organizzato dal mensile Reset, Associazione Antigone, e Medici contro la tortura, anche quella di stabilire una strategia comune tra le forze dell’opposizione per ottenere l’approvazione in Parlamento di una legge sul reato di tortura. Non è impresa tanto facile, viste le molte voci del coro. La divergenza di vedute, per esempio, è già emersa in più occasioni nei confronti del 41 bis. Non tutti nell’opposizione sono disposti a considerare il durissimo regime carcerario una forma di tortura. (g.d.o.)

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