Trapianto di testa, ci risiamo

Il neurochirurgo torinese Sergio Canavero torna a far parlare di sé. L’argomento, purtroppo, è sempre lo stesso. Il trapianto di testa (o di corpo, se preferite. La questione non è chiara): lo scienziato italiano, infatti, ha appena raccontato al New Scientist di essere riuscito, con un’équipe di colleghi cinesi e sudcoreani, a compiere significativi passi avanti verso l’obiettivo finale, grazie a una serie di esperimenti effettuati su animali e cadaveri umani, riprendendo un dibattito aperto più di un anno fa. In particolare, Canavero sostiene di essere riuscito a ricucire il midollo spinale di un topo e di aver addirittura trapiantato la testa di una scimmia sul corpo di un’altra scimmia, sulla falsa riga di un macabro esperimento del 1970. “Abbiamo tantissimi dati su cui lavorare”, ha detto il chirurgo. “È importante che le persone smettano di pensare che sia impossibile. È assolutamente possibile, e ci stiamo lavorando”. Contemporaneamente, Canavero ha cercato di battere cassa: visti gli altissimi costi per eseguire l’operazione di trapianto di testa (dodici milioni e mezzo di euro, per cento chirurghi e trentasei ore di sala operatoria), il chirurgo ha lanciato un appello a non meglio precisati “miliardari russi” e a Mark Zuckerberg, invitandoli a “investire fondi per rendere possibile il primo trapianto di testa nella storia del pianeta”.

Prima di andare avanti, una doverosa precisazione. Tralasciando le enormi implicazioni di carattere etico che comporterebbe, il trapianto di testa, da un punto di vista meramente operativo, è al momento poco più che fantascienza. Il punto più delicato, naturalmente, è il collegamento dei tronconi di midollo di donatore e ricevente (per inciso: riuscire a incollare i tronconi sarebbe un traguardo epocale per la scienza, che ridarebbe speranza ai paraplegici di tutto il mondo): “Al momento, la scienza medica”, ci aveva spiegato lo scorso anno Alberto Delitala, presidente della Società Italiana di Neurochirurgia, “non è in grado di ricollegare con successo due tronconi di midollo, non importa quanto precisamente siano stati tagliati. Sono stati fatti dei tentativi utilizzando innesti di cellule staminali e stimolazione di rigenerazione nervosa tramite growing factor, che hanno dato qualche timido successo negli animali ma nessuno sull’uomo”. E la situazione, a oggi, non sembra essere cambiata.

Le nuove affermazioni di Canavero, al momento, sono fumose almeno quanto quelle dello scorso anno. Il chirurgo ha detto che i risultati sperimentali ottenuti dalla sua équipe saranno pubblicati sulle riviste Surgery e Cns Neuroscience & Therapeutics nei prossimi mesi; nessuno, finora, ha avuto modo di leggere gli articoli né la documentazione di Canvero. Stando alle sue dichiarazioni, comunque, l’équipe di C-Yoon Kim, della Konkuk University School of Medicine in Corea del Sud, sarebbe riuscita a riconnettere i tronconi di midollo spinale di un topo, usando una soluzione a base di acido glicolico. L’animale avrebbe recuperato la funzione motoria negli arti inferiori e posteriori.

C’è di più: sempre secondo quanto racconta lo scienziato, un team di chirurghi della Harbin Medical University, in Cina, coordinati da Xiaoping Ren, avrebbe eseguito un trapianto di testa su una scimmia, connettendo con successo tutti i vasi sanguigni, ma senza provare a collegare i tronconi di midollo. L’esperimento dimostrerebbe che, raffreddando la testa a -15 °C, è possibile sopravvivere all’esperimento senza subire danni cerebrali: “La scimmia è sopravvissuta alla procedura senza alcun danno neurologico di qualsiasi tipo”, ha detto Canavero, precisando che l’animale è stato soppresso dopo 20 ore “per ragioni etiche”. Non sono stati resi noti altri dettagli dell’operazione. Il New Scientist, inoltre, ha pubblicato un video e una fotografia (che abbiamo volontariamente scelto di non proporvi: si tratta di immagini piuttosto forti), che mostrano il topo e la scimmia nel post-intervento.

Le reazioni della comunità scientifica, naturalmente, non si sono fatte attendere. E sono tutte più o meno dello stesso tenore, soprattutto perché è strano che uno scienziato divulghi dei risultati prima che siano pubblicati ufficialmente: “Quando saranno pubblicati su una rivista peer-reviewed li prenderò in considerazione”, ha detto Arthur Caplan, bioetico alla New York University School of Medicine. “Il resto sono solo ca**ate”.

Via: Wired.it

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