Tre scenari per l’atomica di Teheran

Le opinioni non conformiste sono benvenute: anche quando non si è d’accordo sul fondo delle loro argomentazioni esse costituiscono sempre un’ottima occasione per intavolare dibattiti vivaci, aperti e soprattutto scevri della solita insopportabile ipocrisia dei discorsi politicamente corretti. Kenneth N. Waltz è un ben noto studioso di relazioni internazionali di Berkeley che attualmente svolge la sua ricerca presso il Saltzman Institute of War and Peace Studies e insegna anche alla Columbia University: sul numero di luglio/agosto 2012 di Foreign Affairs è stata pubblicata con grande evidenza una sua breve nota dal provocatorio titolo “Why the Iran should get the bomb” (Perchè l’Iran dovrebbe procurarsi la bomba) che si muove in un’ottica completamente ortogonale rispetto a quella della cosiddetta opinione pubblica occidentale. Vediamone gli argomenti.

Sebbene molti commentatori americani, europei e israeliani considerino un Iran dotato di armi nucleari come il peggior esito possibile dell’attuale crisi, nell’opinione di Waltz esso invece sarebbe paradossalmente il migliore perché a suo giudizio contribuirebbe efficacemente a restituire stabilità al Medio Oriente. Egli parte dall’analisi di tre possibili scenari di uscita dalla crisi:

1.    Le sanzioni e la diplomazia convincono l’Iran ad abbandonare il suo programma di arricchimento nucleare: una possibilità che Waltz giudica essenzialmente irrealistica dato che storicamente i paesi determinati ad acquisire armi nucleari raramente sono stati dissuasi dal farlo. L’esempio citato è quello della Corea del Nord, e viene anche ricordato che ulteriori inasprimenti delle sanzioni rischiano solo di aumentare le insicurezze iraniane fornendo a Tehran ulteriori ragioni per cercare riparo nella deterrenza nucleare.

2.    L’Iran sviluppa il suo programma fino a pervenire a una capacità nucleare, ma senza dotarsi di armi nucleari: Waltz osserva che non sarebbe il primo paese firmatario del TNP (Trattato di Non Proliferazione) a trovarsi in queste condizioni, e ricorda in particolare il caso del Giappone. Ciononostante egli sostiene che si tratterebbe di un esito particolarmente instabile: se infatti da un lato la limitazione alla sola capacità nucleare potrebbe soddisfare sia le necessità politiche interne dei governanti iraniani, sia le principali preoccupazioni di USA e paesi europei, dall’altro Israele ha reso abbondantemente chiaro che vedrebbe anche semplicemente questa capacità come una minaccia inaccettabile. Quest’ultimo paese quindi continuerebbe verosimilmente a perseguire la sua campagna di sabotaggi e assassinii con il risultato di portare l’Iran a concludere che la sola capacità non è un deterrente sufficiente, e che è inevitabile pertanto superare la soglia nucleare militare.

3.    L’Iran continua nel suo programma e giunge fino a far esplodere un’arma nucleare: questa è l’eventualità che USA e Israele hanno sempre esplicitamente considerato inaccettabile, ma Waltz osserva che fino ad oggi, ogni volta che un nuovo paese non invitato è entrato nel club nucleare gli altri membri hanno sempre modificato il loro atteggiamento decidendo di adeguarsi. E d’altra parte il suo argomento centrale è proprio l’osservazione che “riducendo gli squilibri di potenza militare, i nuovi stati nucleari producono in generale non una minore, ma una maggiore stabilità regionale e internazionale.” È stato piuttosto Israele, a suo parere, ad alimentare l’instabilità in Medio Oriente con il suo monopolio nucleare regionale: “dopotutto la potenza richiede di essere bilanciata”.

Ovviamente è facile intuire le ragioni di Israele, ma le stesse operazioni che gli hanno permesso di mantenere il suo vantaggio in passato (i bombardamenti in Iraq nel 1981 e in Siria nel 2007, e le minacce all’Iran oggi) rischiano di prolungare un disequilibrio insostenibile nel lungo periodo.

Da questo punto di vista l’attuale fase si presenta quindi non come lo stadio iniziale di una crisi nucleare iraniana, quanto piuttosto come lo “stadio finale di una pluri-decennale crisi nucleare in Medio Oriente che terminerà solo quando il bilancio di potenza militare sarà ristabilito”.

Waltz giudica poi “grossolanamente esagerati” i rischi paventati da USA e Israele: contrariamente a una diffusa opinione, i governanti iraniani agiscono in maniera perfettamente prevedibile, e solo la sopravvalutazione di una loro ipotetica irrazionalità può permettere di pensare che la logica della deterrenza nucleare non si applichi anche a loro. Se gli iraniani vogliono la bomba, lo fanno per rafforzare la propria sicurezza, non per accrescere delle capacità offensive che potrebbero preludere alla loro distruzione: la differenza fra le minacce e i fatti sulla chiusura dello stretto di Hormuz è eloquente. Anche il rischio che la protezione della deterrenza possa suggerire a Teheran di agire più aggressivamente fiancheggiando i terroristi fino a concedere loro l’uso di ordigni nucleari gli appare inconsistente: gli esempi della Cina, dell’India e del Pakistan suggeriscono che i paesi che si dotano di armi nucleari si accorgono immediatamente di essere diventati potenziali obiettivi di rappresaglie, e questa consapevolezza scoraggia ogni atteggiamento aggressivo, compreso quello di agire in maniera coperta tramite qualche gruppo terroristico. Infine l’eventualità che altri stati della regione possano imitare un Iran nucleare sembra a Waltz altrettanto infondata: nonostante i nuovi ingressi nel club nucleare, negli ultimi settant’anni  abbiamo assistito a un deciso rallentamento della proliferazione, e se la corsa non è partita a causa di Israele, non si vede perché dovrebbe partire a causa dell’Iran. Se l’Iran si doterà di armi nucleari, dunque, si instaurerà con Israele un regime di deterrenza come quelli che abbiamo conosciuto in altre epoche e in altri posti, nessun altro paese sarà peraltro incentivato a seguire l’esempio e la crisi si dissiperà lasciando un Medio Oriente più stabile di quello attuale. Gli USA e i loro alleati farebbero meglio quindi a lasciar cadere anche un regime di sanzioni che rischia di danneggiare solo i cittadini iraniani con pochi altri risultati visibili. La diplomazia invece deve continuare per mantenere aperte delle linee di comunicazione che agevoleranno ai paesi occidentali la convivenza con un Iran nucleare: “la storia ha mostrato che dove emergono capacità nucleari, lì emerge anche la stabilità”.

Fin qui l’articolo di Waltz: tanto peggio, tanto meglio, dunque? Sebbene il tono misurato con il quale egli lancia le sue provocazioni (dopotutto Waltz è considerato il fondatore della scuola neorealista nello studio delle relazioni internazionali) sia più che benvenuto in un momento in cui la retorica interventista e ideologica rischia invece di infiammare la crisi più del necessario, qualche precisazione sembra doverosa. Innanzitutto è probabilmente esagerato il ruolo attribuito ad Israele nella vicenda del nucleare iraniano: verosimilmente l’Iran post-rivoluzionario non ha deciso di sviluppare un proprio programma nucleare, dotandosi anche di impianti di arricchimento autonomi (e quindi, inevitabilmente, di sviluppare una capacità nucleare), principalmente per bilanciare il deterrente israeliano. Negli anni Ottanta e Novanta la preoccupazione prevalente di Teheran era piuttosto l’Iraq di Saddam Hussein dotato (o almeno ritenuto dotato) di armi di distruzione di massa, non escluse quelle nucleari. Questo programma ‒ ripreso peraltro da quello pre-rivoluzionario dei tempi dello Shah Reza Pahlavi ‒ dopo l’invasione americana dell’Iraq del 2003 ha assunto poi la sua attuale dimensione civile senza però perdere le sue potenzialità militari. Esso si inquadra quindi oggi piuttosto all’interno dei piani di egemonia regionale nutriti da Teheran nei quali trova posto certamente il prestigio attribuito da una piena capacità nucleare a un paese lealmente parte del TNP, mentre sarebbe probabilmente controproducente la scoperta di eventuali sotterfugi messi in opera per sfuggire ai controlli degli ispettori dell’IAEA nel tentativo di dotarsi segretamente di armi nucleari.

Questa prospettiva sembra peraltro confermata dalle ripetute dichiarazioni dei dirigenti civili e religiosi iraniani che in molte occasioni hanno qualificato gli arsenali nucleari come inutili e dannosi ribadendo la loro ferma intenzione di non dotarsi di tali ordigni. Appare quindi piuttosto paradossale che l’analisi di Waltz (e lo stesso titolo della copertina di Foreign Affairs) dia invece l’impressione non solo di non credere troppo alle dichiarazioni di Teheran, ma di voler addirittura favorire un ingresso dell’Iran nel club nucleare: se non è un invito, poco ci manca. L’argomento è in fondo ben noto, e l’articolo in questione ha il merito di esprimerlo apertamente: le armi nucleari e la deterrenza sono un potente fattore di stabilità militare e politica. Nelle stesse parole conclusive dell’autore: “Quando si tratta di armi nucleari, ora e sempre, meglio che siano di più.”

È un argomento che però non condividiamo: riteniamo invece che il vero fattore stabilizzante sia una politica che ridimensioni l’importanza attribuita alle armi nucleari, e che sottolinei da un lato i pericoli del loro uso e del loro possesso, e dall’altro la loro reale inutilità dal punto di vista militare. Si tratta di un dibattito ampiamente sviluppato durante i lunghi anni della Guerra Fredda: esso ha prodotto un regime di non-proliferazione che riteniamo essenziale preservare e rafforzare formalmente e sostanzialmente. Un Iran apertamente nucleare (volontariamente o indotto da sanzioni e provocazioni, invitato o non invitato) andrebbe invece nella direzione opposta a quella della non-proliferazione. In altre parole, mentre siamo sicuri del fatto che la deterrenza costituisca comunque una qualche accettabile forma di stabilità in presenza di potenze nucleari, siamo però ancor più convinti del fatto che la terra sarebbe un pianeta infinitamente più sicuro senza armi nucleari, e propendiamo per l’opinione che il migliore scenario fra i tre proposti da Waltz sia piuttosto il secondo, nella speranza che il numero di paesi militarmente nucleari diminuisca e non aumenti, ma senza negare a nessuno i diritti riconosciuti dal TNP. I paesi occidentali quindi non dovrebbero far altro che accettare come sincere le dichiarazioni degli iraniani di non volersi dotare di armi nucleari, mettendo in opera ogni espediente per fare in modo che essi si mantengano fedeli alle loro intenzioni senza farsi trascinare a superare la soglia militare dalle provocazioni israeliane o dalle sanzioni economiche. Anzi, in questa prospettiva, sarebbe infinitamente meglio se le provocazioni cessassero, e se le sanzioni fossero eliminate.

Questo articolo è una anticipazione della rubrica “Armamenti”  del numero di Sapere in uscita a ottobre

Credit immagine: a blueforce4116 / Flickr

3 Commenti

  1. Mah, secondo me il punto di vista di Waltz, proprio perché molto realista, è decisamente condivisibile.
    La non proliferazione è una bubbola ormai, mi spiace ma è così, ridurre il proprio arsenale da 8000 a 4000 testate nucleari o da 100 a 50 è una presa per i fondelli dal momento che basterebbero forse meno di 100 bombe ben distribuite per far estinguere in tempi brevi la maggior parte delle forme di vita terrestri, uomo compreso.
    Una volta che si sa come costruire un arma potenzialmente definitiva è inutile impuntarsi troppo sulla limitazione selettiva della sua costruzione, l’unica soluzione sarebbe infatti eliminarne in assoluto la disponobilità a chicchessia, ma ciò è evidetemente impossibile nella pratica (difficile che gli stati si fidino a tal punto l’uno dell’altro). Quindi, lo scenario di maggiore stabilità è paradossalmente quello in cui tutti possono eventualmente minacciare di usare un’arma dagli effetti devastanti, minaccia che però si sa bene non essere attuabile perché inevitabilmente segnerebbe con tutta probabilità anche la fine della propria esistenza fisica e politica.

  2. Il mondo è pieno di “noti studiosi” che pur di acquisire notorietà sono capaci di portare una serie di argomentazioni sulle tesi più improbabili.
    Credo sia importante avere il coraggio di denunciare che la cosa più probabile è che in realtà Kenneth N. Waltz è solo un pericoloso sciacallo.

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