Categorie: Spazio

Trottole stellari

Gigantesche trottole. Così dovevano apparire le stelle subito dopo la grande esplosione che diede origine all’Universo. Lo sostiene, in uno studio pubblicato su Nature, un gruppo di ricerca coordinato da Cristina Chiappini, astronoma dellOsservatorio Astronomico di Trieste – Inaf ora presso il Leibniz – Institut für Astrophysik di Potsdam, in Germania. Puntando i telescopi verso uno degli ammassi stellari più antichi del cosmo, i ricercatori sono risaliti alla natura delle stelle “primordiali”.

L’Universo è un immenso scavo archeologico: le stelle che lo illuminano sono fossili viventi che si portano addosso tracce del passato. Studiandole attentamente, è possibile fare un viaggio a ritroso per scattare una fotografia dei primi istanti di vita del cosmo. Delle prime stelle che popolarono l’Universo, si sa che erano gigantesche (anche dieci volte il Sole) e precoci: crescevano in fretta esaurendosi in pochi milioni di anni. Esplodendo, hanno liberato nello spazio gli elementi dei loro nuclei, che sono stati inglobati dalle stelle più giovani. E sono proprio quest’ultime a darci informazioni preziose sulla natura degli astri da cui si sono formate.

Grazie al Very Large Telescope dell’European Southern Observatory, nelle Ande cilene, i ricercatori hanno scomposto lo spettro emesso da otto stelle appartenenti all’ammasso NGC 6522. Si tratta di stelle con massa simile al Sole, ancorate al centro della Via Lattea e antichissime, vecchie almeno 12 miliardi di anni. Dall’analisi della radiazione è emerso che l’atmosfera esterna di queste stelle è ricca di ittrio e stronzio, due elementi rari, probabilmente generati da astri grandi quanto il Sole.

Ma quando le stelle di NGC 6522 si sono formate, nessun astro con queste caratteristiche avrebbe potuto completare il suo ciclo evolutivo e rilasciare nello spazio questo tipo di elementi. Allora, da dove sono usciti fuori? La spiegazione è che le prime stelle ruotavano a velocità elevatissime. La rotazione avrebbe accelerato il rimescolamento dei loro strati interni ed esterni, favorendo la formazione e il rilascio di elementi come l’ittrio e lo stronzio. “Secondo le nostre stime”, ha spiegato Chiappini, “queste velocità potevano toccare gli 800 km/s, valori anche otto volte maggiori di quelli osservati oggi in stelle di massa analoga”.

Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature10000 Letter

Martina Saporiti

Laureata in biologia con una tesi sui primati, oggi scrive di scienza e cura uffici stampa. Ha lavorato come free lance per diverse testate - tra cui Le scienze, Il Messaggero, La Stampa - e si occupa di comunicazione collaborando con società ed enti pubblici come l’Accademia dei Lincei.

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