Tutti i dubbi sui primi spermatozoi creati in vitro

Sono francesi e sono i primi spermatozoi umani al mondo ottenuti completamente in vitro. Per riuscire nell’impresa, la Kallistem, start up del Centro nazionale ricerche francese (Cnrs), è partita dal tessuto prelevato dai testicoli di un uomo sterile. L’annuncio è la conferma di una notizia lanciata ai primi di maggio, quando la stessa azienda fece sapere di essere a un passo dalla produzione di cellule germinali maschili umane, grazie a tecniche di riprogrammazione cellulare.

La notizia però non arriva tramite una pubblicazione scientifica, come da tradizione, ma tramite la presentazione di un brevetto a nome della start up francese e dei suoi partner: l’Università Claude-Bernard di Lione, il Cnrs, l’Inra e l’Ens di Lione.

Per ora dunque non sono ancora noti i metodi del procedimento e la comunità scientifica non ha ancora i mezzi per valutare lo studio. Un risultato che “va preso con le dovute cautele, ma che ha tutte le caratteristiche per essere un passo fondamentale per la scienza” spiega a Galileo Carlo Alberto Redi, genetista e biologo dello sviluppo dell’Università di Pavia.

Lo studio si inserisce in un filone di ricerca che va avanti da almeno dieci anni e che utilizza le iPS, le cellule staminali pluripotenti indotte. Certo non è cosa semplice ottenere uno spermatozoo: è una cellula con metà corredo cromosomico e una forma tutta particolare. Caratteri ancora non replicati in provetta. “Fino a oggi in vitro siamo riusciti a produrre solo spermatidi, ovvero le cellule precursori degli spermatozoi, che sono ancora tonde, non hanno la forma tipica con testa e flagello” spiega Carlo Alberto Redi: “Per ottenere spermatozoi, gli spermatidi ottenuti in provetta devono essere rinoculati in un topo immunosoppresso, precisamente nei tubuli seminiferi, la nicchia fisiologica dove si trasformano in spermatozoi. Con questo studio, potremmo finalmente aver eluso anche questo passaggio”.

Stando infatti alle dichiarazioni di Marie-Hélène Perrard, cofondatrice della Kallistem, il team ha ottenuto una spermatogenesi completa nei ratti, nelle scimmie e nell’uomo e ha dimostrato che gli spermatozoi ottenuti sono morfologicamente normali. Ma è proprio su questo punto che la comunità scientifica desta qualche perplessità. “La morfologia è il primo parametro da esaminare, ma non è l’unico” ci spiega Redi. “Non c’è ancora garanzia che questi spermatozoi possano essere sicuri e funzionali. Ci sono altri aspetti da valutare: la quantità, la motilità, e se la testa decondensa bene”.

Fino a oggi le staminali sono state utilizzate con successo per la terapia di tumori del sangue, dei grandi ustionati, per la rigenerazione cornea: tutti casi in cui alle cellule iPS si chiedeva di fare una normale divisione cellulare, una mitosi. Se tutto venisse confermato, questa sarebbe la prima ricerca in cui si riesce a controllare anche la meiosi, ovvero la divisione cellulare che dimezza il corredo genetico di una cellula e che porta quindi alla formazione dei gameti.

“Forse è proprio qui il loro colpo gobbo” commenta Carlo Alberto Redi, “sono riusciti a governare la meiosi senza far danni, accedendo alla spermioistogenesi: la differenziazione morfologica da cellula rotonda (spermatidio) a spermatozoo”.

Secondo Isabelle Cuoc, presidente della compagnia, tale tecnica dovrebbe essere disponibile entro cinque anni nei primi centri specializzati. E potrebbe servire per curare la sterilità maschile, che al momento colpisce almeno 120.000 persone. Ma la tecnica potrebbe anche essere utilizzata per preservare la fertilità di chi deve sottoporsi a terapie potenzialmente pericolose, come la chemio, o essere utilizzata per la fecondazione in vitro.

Fin qui nessun problema, a patto che i gameti siano sicuri. Ma “serve riflettere sui possibili scenari etici” dice Redi. “Le possibilità in futuro potrebbero essere infinite: si potrebbe arrivare a creare sperma dalle cellule di una donna e ovuli dalle cellule di un uomo, o al punto che un individuo faccia un figlio da solo. Insomma potrebbero verificarsi nuovi tipi di genitorialità. È bene perciò cominciare a parlarne fin da subito, dato che non siamo ancora nella pratica clinica, ma solo nella fase di ricerca. E soprattutto è bene che le agenzie regolatorie diano degli standard di sicurezza, anche per non creare false illusioni”.

Lo stesso Redi è impegnato in un filone di ricerca simile, ma che coinvolge gli ovuli e che potrebbe eliminare le malattie mitocondriali. Insieme a Manuela Monti, ricercatrice al Centro di ricerca di medicina rigenerativa all’Ospedale San Matteo di Pavia, sta studiando la possibilità di differenziare cellule germinali, precursori dei gameti, partendo da cellule del cordone ombelicale simil-embrionali, dette Svel. “L’obiettivo” spiega Redi “è creare banche di ovuli destinati alla ricerca e alla donazione. Grazie a queste banche le malattie mitocondriali potrebbero non essere più un problema: basterebbe inserire il nucleo della cellula uovo malata in una cellula enucleata sana”.

Studi di questo tipo, in Italia, però, sono ancora pochi. Come poche sono le donazioni di cordoni o gameti. Perciò “è necessario mettere in atto la cultura del dono” conclude Redi.

Credits immagine: Iqbal Osman/Flickr CC

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