La stagione venatoria è grosso modo a metà e l’Associazione Vittime della Caccia diffonde un primo bilancio degli incidenti, dal 1° settembre al 29 ottobre: 16 morti e 48 feriti. La Lombardia è in testa alla macabra classifica con 13 incidenti, di cui 5 mortali e 8 ferimenti. Segue il Piemonte con 7 incidenti di cui 3 mortali, poi il Veneto con 6 feriti e un morto.
Inutile negarlo, tra i casi raccolti dalla consueta e scrupolosa rassegna stampa quelli che impressionano di più riguardano le persone colpite da proiettili vaganti mentre facevano tutt’altro. Sono quei 4 morti e i 14 feriti tra la gente comune che invitano, più degli incidenti tra i cacciatori, a riflettere sulla sicurezza di un’attività tanto criticata.
Forse non ci sarebbe bisogno di esplicitare ciò che è sottointeso, ma farlo non guasta: nessuno, sia chiaro, resta indifferente di fronte alle tragedie che avvengono in una battuta di caccia, ma sarebbe ipocrita negare che quei drammi vengono naturalmente classificati come tragici “rischi del mestiere”.
Non possiamo dire lo stesso per quella signora ferita al polpaccio nel giardino della sua casa di campagna (incidente del 24 settembre a Venosa in provincia di Potenza), o per l’automobilista colpito alla guancia nella sua auto ferma in attesa di fare passare i ciclisti di una gara amatoriale (24 settembre, Aci Bonaccorsi in provincia di Catania), o ancora per il giovane calciatore raggiunto in campo da un colpo di fucile (1° ottobre Siena), o infine per il sessantenne ucciso mentre cercava funghi nei boschi di Soveria (CZ).
Tutte persone che, non avendo scelto l’attività venatoria, contavano di rimanere fuori anche dal rischio. Come vanno classificati questi incidenti? Effetti collaterali di un’attività di per sé troppo pericolosa, oppure disgrazie imputabili al mancato rispetto delle regole? Su questa questione da anni si scontrano i due fronti di chi è a favore della caccia e di chi la vorrebbe abolire. I primi impegnati a elencare le differenze tra il bravo cacciatore e i tiratori allo sbaraglio e i secondi convinti che spari e sicurezza non andranno mai d’accordo.
Certamente basta dare un’occhiata all’opuscolo diffuso da Federcaccia “Sicurezza a caccia”, lodevole iniziativa di informazione ai cacciatori tesserati, per rendersi conto che il pericolo di colpire il bersaglio sbagliato è dietro l’angolo. “Pericolosa per definizione, la zona di tiro non può essere oggetto di alcun dubbio o incertezza. Il suo dintorno può mutare da un istante all’altro a seguito dell’apparizione di una o più persone, di animali domestici o di veicoli. È necessario rimanere molto vigili e attenti a ogni minima modificazione di tale zona che non ha caratteri prefissati, com’è inevitabile per ogni ambiente naturale. In azione di caccia, mai tenere il dito sul grilletto o nei suoi pressi”.
Così, alla fine della stagione venatoria, con il bilancio definitivo delle vittime, ci troveremo ancora una volta a domandarci di chi sono le colpe. Delle lacune della legge? Dei mancati controlli? Della scarsa preparazione di chi maneggia le doppiette? Di una segnaletica ambigua che non avvisa i cacciatori della vicinanza di case e strade, ma che non indica neanche i luoghi sicuri dove potere fare una passeggiata? Speriamo allora di avere delle risposte.
Credits immagine: Tigresblanco/Flickr
Si può cacciare, ma il fucile deve essere talmente sicuro a non avere più paura di andare a caccia, ma un fucile cosi’ sicuro non esiste ancora
Ma state tranquilli, stà NASCENDO, sarà pronto nel 2013 e sarà il il fucile più SICURO al mondo
L’unico fucile sicuro al mondo e’ il non averlo, per quanto riguarda la caccia la trovo una cosa degradante e ripugnante
Ma l’eccessiva densita’ di popolazione nella nostra penisola ovvero la sovrappopolazione non viene in mente proprio a nessuno?
E continuiamo a permettere l’ingresso ad altre “risorse”.
Ma risorse ‘dde che?