Tutti pazzi per il fullerene

Una scoperta dopo l’altra: i fullereni non finiscono mai di stupire. Soltanto un anno fa, i ricercatori dei laboratori Bell annunciavano che questi composti a 60 atomi di carbonio, che devono il loro nome alle cupole geodetiche progettate dall’architetto Buckminster Fuller, sono ottimi superconduttori ad alte temperature. Ora, un gruppo di ricercatori italiani dell’Università La Sapienza di Roma, della Sissa e del Centro internazionale di fisica teorica di Trieste, studiando il comportamento dei fullereni, è riuscito a sviluppare il primo modello teorico capace di spiegare alcune caratteristiche della superconduttività alle alte temperature.I superconduttori possiedono la straordinaria capacità di non offrire resistenza al passaggio di corrente elettrica, evitando ogni dispersione di energia. Il fenomeno emerge al di sotto di una temperatura critica che di solito è estremamente bassa, prossima allo zero assoluto (-273°C). Tuttavia, negli ultimi anni sono stati scoperti alcuni materiali che presentano proprietà superconduttive anche a temperature più miti, dell’ordine di 100 K (-173°C). Fra questi i più noti sono alcuni composti del rame, i cosiddetti cuprati. Ma oggi sappiamo che alterando in modo opportuno le proprietà strutturali del fullerene, con l’inserzione ad hoc di alcune molecole di bromoformio, si può ottenere un superconduttore a temperature ancora più alte (-156°C), lasciando intravedere la possibilità di una tecnologia elettronica basata sui composti organici.Un comportamento così anomalo non può essere spiegato dalla teoria Bcs, la teoria “classica” della superconduttività, sviluppata nell’ormai lontano 1956 da John Bardeen, Leon Cooper e Robert Schrieffer. La Bcs, che attribuisce il fenomeno alla formazione delle cosiddette coppie di Cooper, coppie di elettroni libere di fluire nel reticolo cristallino, riesce a giustificare l’emergere della superconduttività solo a temperature inferiori a 23 K (-250°C). E nonostante le pubblicazioni scientifiche sull’argomento siano ormai centinaia, una teoria capace di estendere la Bcs alle alte temperature ancora non esiste. “Fra tutte queste idee potrebbe nascondersi anche quella giusta”, azzarda il fisico Erio Tosatti, autore della ricerca italiana insieme ai colleghi Massimo Capone, Michele Fabrizio e Claudio Castellani, “ma per convincere la comunità scientifica non basta sviluppare un modello, occorre anche risolverlo, proprio come hanno fatto Bardeen, Cooper e Schrieffer nel 1956, assicurandosi il premio Nobel”. Finora nessuno c’è riuscito, anche perché tutti i modelli proposti ipotizzano una forte interazione fra gli elettroni, che dal punto di vista matematico complica notevolmente l’impresa. “Risolvere un modello teorico basato sul fullerene ha richiesto artigianato, fantasia e fortuna”, racconta Tosatti, “ma è risultato relativamente più semplice perché questa molecola è come una navetta spaziale: tutta la fisica necessaria per spiegare il comportamento superconduttivo è contenuta al suo interno”.Risolvendo il modello si può mostrare che l’emergere della superconduttività nel fullerene, al contrario di quanto accade nei superconduttori ordinari, è dominata dalla repulsione fra gli elettroni. “E’ come se al di sotto della temperatura critica gli elettroni imparassero a evitarsi”, spiega Tosatti, “e in tal modo acquisissero la capacità di fluire liberamente nel materiale. Potrebbe essere proprio questo il marchio di fabbrica di tutti i materiali superconduttori alle alte temperature”.

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