Tutto il bello della matematica

Paul A.M. Dirac
La bellezza come metodo
Editore Indiana 2013 (collana Schegge), pp. 181, euro 14,50  
(a cura di Vincenzo Barone, traduzione di Francesco Graziosi)

Ordina su Ibs

Perché le particelle preferiscono essere descritte da equazioni belle piuttosto che brutte? Perché la matematica va d’accordo con tutto ciò che è “bello”? Lo spiega il premio Nobel per la fisica Paul Dirac, vissuto nel secolo scorso, nel suo libro “La bellezza come metodo”. Il testo raccoglie i più importanti scritti e conferenze dell’illustre scienziato, tra i fondatori della meccanica quantistica e della fisica moderna.

Raccontando parte della propria vicenda scientifica, l’autore spiega come il concetto di bellezza rappresenti il fondamento della matematica e della fisica. In generale, la matematica è lo strumento per indagare il mondo fisico, dunque la “Natura”: questa efficacia della matematica nella fisica è il riflesso di una corrispondenza – o addirittura di una coincidenza – delle due discipline, che tenderanno ad unificarsi. In tale prospettiva, la bellezza diventa il metodo con cui lo scienziato deve procedere: da un lato essa è una sorta di guida nella ricerca scientifica, dall’altro un criterio di valutazione delle teorie.

Un esempio del legame tra la matematica, la fisica e la bellezza? In fisica non tutti i fenomeni possono essere rappresentati mediante equazioni semplici: la teoria della relatività di Einstein sviluppa un’elaborazione complessa della gravitazione. Sebbene manchi di semplicità, la teoria viene resa accettabile per tutti. E questo è possibile grazie alla sua bellezza, che si manifesta, ad esempio, nella rivoluzione del concetto di spazio-tempo: le tre dimensioni spaziali e la dimensione temporale sono unificate in un’unica realtà quadridimensionale.

In generale, Dirac preferisce cercare le leggi della Natura partendo dalla matematica astratta, piuttosto che dai fenomeni con cui essa si manifesta. Uno dei due limiti che individua nella meccanica quantistica, infatti, è la “sconfitta” del determinismo, sostituito dalla visione probabilistica. Così la natura è sottoposta alle leggi della probabilità e in qualche modo non più a quelle della matematica: proprio per questo Dirac, raggiungendo le vette del suo ‘matematicismo’, sospetta che i fondamenti della meccanica quantistica non siano ancora definitivi.  

Nel libro, lo scienziato premio Nobel racconta come è arrivato alla famosa “equazione di Dirac” (iγ·∂ψ = mψ) – che da lui prende il nome -, la quale descrive il comportamento dell’elettrone tenendo conto sia della meccanica quantistica che della relatività einsteiniana. C’è un problema però: nella meccanica quantistica, e dunque anche nel modo in cui essa descrive le particelle, sono presenti alcuni “infiniti”: si tratta di quantità infinitamente grandi, che di fatto violano i principi fisici. Questi infiniti sono espressione di un’imperfezione, che rende la teoria “brutta”: in questo caso, è un po’ come se dicessimo che anche l’elettrone ‘insegue la bellezza’ (dato che è come se ‘non accettasse’ questa violazione). I fisici perciò pongono riparo al problema mediante altre teorie, come quella della rinormalizzazione, un metodo che cancella queste quantità enormi.

Un altro problema riguarda il valore di “α”, una delle costanti più usate in fisica (che al suo interno contiene un parametro elettromagnetico fondamentale, la carica elettrica elementare); la domanda è: perché il rapporto 1/α vale proprio 137 e non un altro numero? Si tratta di un quesito sondato a lungo che non ha avuto una risoluzione significativa. Dunque, ecco un altro esempio di come la mancanza di bellezza corrisponda all’assenza di una spiegazione matematica (almeno per il momento): a conferma dell’ipotesi dell’autore, secondo cui la bellezza è il fondamento di questa disciplina.

L’autore racconta anche un episodio legato al fisico Schrödinger, il quale non pubblicò l’equazione relativistica sul comportamento dell’elettrone nell’atomo di idrogeno: essa era esteticamente bella, ma non era confermata dagli esperimenti. L’equazione originale di Schrödinger fu riscoperta in seguito da Klein e Gordon, che la pubblicarono. “Credo che ci sia una morale in questa storia”, afferma Dirac nel suo libro. “È più importante che le equazioni siano belle piuttosto che in accordo con gli esperimenti”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here