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Ci siamo sempre ubriacati: breve storia dell’ebrezza alcolica

Gli esseri umani si sono sempre sbronzati, probabilmente da molto prima di quanto possiamo aspettarci. Se pensiamo che basta un po’ di frutta lasciata macerare per produrre alcol, non è poi così difficile che i nostri antenati trovassero spesso e volentieri il modo per essere alticci. Come le bevande alcoliche abbiano accompagnato la storia umana dagli albori ai giorni nostri, attraverso le diverse epoche, popolazioni e culture, ce lo racconta Mark Forsyth nel suo libro “Breve storia dell’ubriachezza”, pubblicato nella versione in italiano da “il Saggiatore”. Forsyth ripercorre in modo spassoso e leggero diverse tappe della storia umana, rivista analizzando il ruolo dell’alcol nella società.

Il viaggio di Forsyth inizia nella preistoria: una delle varie ipotesi per spiegare la discesa dagli alberi degli esseri umani è che lo abbiano fatto per procurarsi i frutti caduti in macerazione, quindi alcolici. La storia passa poi per l’edificio più antico del mondo, il Göbekli Tepe, in Turchia, dove ci sono delle grandi vasche in cui sono state trovate tracce di orzo e acqua: un miscuglio ideale per fare la birra.

Mark Forsyth

Breve storia dell’ubriachezza

Il saggiatore, pp. 292, Euro 17

 

La tappa successiva sono i bar Sumeri, dove veniva prodotta della birra che al tempo somigliava più a una zuppa di cereali alcolica che alla bevanda fresca e limpida che conosciamo oggi. Dopo aver raggiunto un certo livello alcolico, i Sumeri sfoggiavano un repertorio di canzoni e barzellette degno degli ubriachi odierni: l’autore ne riporta alcune che meritano di essere lette (da sbronzi). Gli Egizi erano ancora più esuberanti nel loro consumo di alcol, era una questione religiosa: si riunivano in grandi feste per omaggiare gli dèi, nelle quali si ubriacavano, vomitavano, e facevano sesso tutta la notte, fino a perdere i sensi.

Forsyth fa così una divertente carrellata attraverso diverse civilità, dagli antichi Greci alla Cina degli imperatori, ai riferimenti all’ubriachezza nella Bibbia per passare poi al convivio romano; e non omette il Medio Oriente dove, a quanto pare, si è sempre bevuto: secondo Forsyth, nonostante gli insegnamenti del Corano, qualche scappatoia per bere gli arabi l’hanno sempre trovata. Per i vichinghi, invece, bere era obbligatorio: per loro il dio beone era il capo degli dèi, e, chi osava non bere ai loro banchetti se la vedeva brutta.

Il viaggio alcolico continua attraverso le birrerie medievali, il Messico degli Atzechi, l’Inghilterra (dove il gin ha davvero segnato la storia), il Nord America – tutti abbiamo ben presente i saloon del Vecchio West – e poi la Russia, che ha oscillato per secoli tra la messa al bando e l’incoraggiamento del consumo di vodka. Ultima tappa, l’era del proibizionismo negli Stati Uniti, che, se non altro, riuscì a eliminare dalla storia i saloon, dove gli uomini sperperavano tutti i guadagni destinati alle famiglie. Ma nonostante il proibizionismo, di bere, non ha mai smesso nessuno.

Se molte delle curiosità svelate nel libro sono assolutamente realistiche, è probabile che alcuni passaggi riportino interpretazioni un po’ fantasiose, ma in fondo non si tratta di un libro di storia. Attraverso i suoi racconti, spesso esilaranti, Forsyth ripercorre le tappe dell’umanità da nuovo punto di vista: quello alcolico. La prospettiva originale dell’autore vede l’alcol come il protagonista delle civiltà, come se intere popolazioni si fossero organizzate, in modo più o meno esplicito, attorno all’alcol. Se a primo impatto potrebbe dare una sensazione diversa, il libro non è un elogio dell’alcol, ma un simpatico reportage del ruolo, senz’altro rilevante, dell’ubriachezza nella storia.

Alice Matone

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