Chi non vorrebbe passeggiate in montagna, uscite al parco o magari in barca, al posto dei farmaci? Tanto più che, da più parti, si stanno accumulando le evidenze che ne parlano non come meri palliativi ma come vere e proprie terapie, capaci di alleviare diversi disturbi, in modo particolare per la salute mentale. Stiamo parlando infatti terapie basate sulla natura, in inglese nature-based therapy (nature-based interventions), un vasto mondo di interventi non farmacologici con potenziali effetti benefici. Sul tema esistono diverse variazioni: che si tratti di bagni di foreste (Shinrin-yoku nella versione giapponese), passeggiate o visite a parchi, fiumi e laghi, giardinaggio o uscite a cavallo, che hanno destato interesse da qualche anno anche tra clinici ed esperti di sanità pubblica. E infatti, basta farsi un giro su Pubmed, il database che raccoglie le evidenze provenienti dalla letteratura scientifica, per capire che sì, negli ultimi anni quella sugli effetti benefici della natura è un campo di ricerca particolarmente prolifico.
Più uscite, meno farmaci
L’ultima in ordine temporale di ricerche sul tema è arrivata questa settimana, con una pubblicazione su Occupational and Environmental Medicine. Afferma che chi frequenta più spesso “spazi verdi” fa meno uso di farmaci. In particolare – dicono i ricercatori finlandesi – più verde equivale a minor uso di sostanze psicotrope (usate contro come ansiolitici o antidepressivi), meno di farmaci contro l’ipertensione e contro l’asma (questi quello per cui sono state indagate le abitudini di utilizzo). Quanto? Dipende: in media per circa tre quattro uscite settimanali in zone verdi, la probabilità di usare i medicinali si riduceva dal 26% al 36% rispetto a chi frequentava le zone meno di una volta a settimana. Il dato in sé è piccolo, riguarda 6000 partecipanti circa e dati autoriferiti, e stabilisce – come molti studi nel campo – un legame solo di associazione. Non ci dice nulla, come riconoscono gli stessi autori, sul reale stato di salute dei partecipanti e non si può escludere che le relazioni osservate fossero dovute a una direzione contraria a quella immaginata: stare meglio induce ad uscire più spesso. Vero.
D’altra parte però è quasi impossibile, dicevamo, ignorare la mole di studi che si sta accumulando sul tema. Se è vero che molti possono essere i fattori confondenti – chi sta meglio esce di più, fa più sport e magari si relaziona anche di più con gli altri una volta fuori casa, con tutti i benefici correlati all’attività fisica e quella sociale – dall’altra è vero che c’è più di un indizio a supporto dei benefici delle terapie basate sulla natura. Per che cosa potrebbero essere utili, e in che modo? Alcuni ricercatori hanno provato a mettere insieme i risultati delle ricerche condotte finora. Tutti sono concordi nel dire che servono più studi, che serve far luce sui meccanismi alla base di quanto osservato, ma ecco quello che emerge.
Arte e natura ci fanno star bene e sono le nuove cure
Perché le terapie “verdi” fanno bene?
Una recente revisione sul tema di alcuni ricercatori britannici, che ha preso in considerazione circa una cinquantina di studi, afferma che le evidenze al momento indicano che gli interventi nature-based – dal jogging, al giardinaggio, all’orticoltura, alle passeggiate, ai bagni nella foresta, alle attività di mindfulness – sarebbero efficaci soprattutto per gli aspetti legati alla salute mentale più che a quella fisica, tanto a scopo terapeutico che preventivo. In particolare, scrivono Peter Coventry della University of York e colleghi, ci sono buone evidenze a favore di interventi di gruppo per attività di immersioni nella natura nella riduzione dei sintomi di ansia e depressione. Particolarmente efficace risulterebbe l’attività di giardinaggio, ma effetti positivi in questo campo sono stati osservati anche per le attività sportive svolte all’aperto. Spendere tempo all’aperto, impegnati o meno, aiuta anche a potenziare la cosiddetta positive affect, un termine complesso che può essere reso come la capacità di entusiasmarsi, provare gioia ed essere attivi. Ma anche i tempo contano: due-tre mesi quelli che si associano ai maggiori benefici, con dosi che oscillano tra i 20 e i 90 minuti.
I meccanismi con cui queste attività avrebbero effetti benefici sono diversi, in parte legate alle attività stesse in parte potenziate dall’aspetto natura. Per esempio: svolgere un’attività finalizzata, come quella del giardinaggio, o che riduce lo stress, l’ansia e la depressione, come l’attività fisica, hanno dei benefici di per sé, cui si somma anche quello di condividerli con qualcuno spesso. A tutto questo però si potrebbe aggiungere il ruolo di defaticamento offerto dalla natura, responsabile – secondo alcune teorie ricordate dagli autori – del recupero cognitivo da situazioni di stress e fatica cognitiva, e di promuovere un senso di benessere attraverso la cosiddetta nature connectedness.
Nella stessa direzione vanno le conclusioni di un’altra revisione sul tema, che si è concentrata sui benefici psicologici delle terapie nature-based nelle persone con malattie di lungo termine (come tumori, diabete, malattie cardiovascolari, ictus e malattie renali). Anche in questo caso i ricercatori invitano a guardare oltre agli effetti benefici collegati alle attività all’aperto, come appunto il movimento fisico. Le terapie verdi, per esempio, favorirebbero il rilassamento agendo su definiti meccanismi fisiologici, come l’abbassamento della pressione, la riduzione degli ormoni legati allo stress e sotto certi aspetti persino il profilo infiammatorio legato ad alcune malattie.
Non si parla di buttare via i farmaci magari, ma di capire se e come anche interventi non farmacologici basati su una maggiore fruizione della natura possono essere d’aiuto. A beneficio – e col piacere – di tutti.
Via: Wired.it
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