Quando si pensa a un cammello lo si immagina, di solito, nel caldo deserto africano. In realtà secondo gli studi dei fossili la famiglia Camelidae, di cui gli odierni cammelli fanno parte, si è originata in Nord America e da lì si è diffusa nel resto del mondo. Uno studio di un team internazionale guidato dal Canadian Museum of Nature e pubblicato su Nature Communications, descrive infatti il ritrovamento del più antico cammello gigante estinto nell’isola di Ellesmere, nel circolo polare artico del Canada. Il fossile suggerisce che i cammelli si sono originati in una zona molto più settentrionale del Nord America rispetto a quanto ritenuto finora e mostra che i predecessori dei cammelli sahariani in realtà vivevano nelle foreste boreali del circolo polare artico con temperature molto più fredde di quelle del loro ambiente attuale.
I fossili ritrovati comprendono trenta frammenti della tibia di una gamba di un cammello gigante e sono stati raccolti in un deposito sabbioso situato vicino a Strathcona Fiord, sull’isola Ellesmere nella regione canadese di Nunavit, durante tre spedizioni estive negli anni 2006, 2008 e 2010. Esperimenti di datazione hanno collocato le ossa a circa 3,5 milioni di anni fa, alla metà dell’era del Pliocene.
“Si tratta di una scoperta importante”, commenta Rebecca Rybczynski, autrice dello studio, “perché dimostra che i cammelli in Nord America si sono spinti circa 1200 km più a Nord di quanto stimato finora sulla base di altri ritrovati fossili”. Sebbene secondo le ricostruzioni paleo-ambientali questa regione fosse più calda rispetto a oggi di circa tre gradi, le temperature previste erano piuttosto basse, solo alcuni gradi sopra lo zero, dando origine a foreste di tipo boreale con inverni molto freddi. Per cui, i primi cammelli dovevano essere abituati a vivere in ambienti artici e solo successivamente si sono adattati ad ambienti desertici.
Per confermare che i fossili ritrovati appartenevano a un cammello gli studiosi hanno usato diverse tecniche, tra cui la scansione laser 3D per ricostruire un modello dell’animale e il “collagen fingerprint”, una tecnica messa a punto presso l’Università di Manchester da Mike Buckley, responsabile della ricerca. Questa metodologia si basa sulla presenza del collagene di tipo I, una proteina molto abbondante nelle ossa e comunemente usata per le classificazioni tassonomiche. I risultati hanno confermato che il cammello gigante fossile somiglia ai cammelli moderni, in particolare ai dromedari con una sola gobba, e probabilmente era un antenato appartenente al genere Paracamelus.
Secondo Rybczynski, le nuove informazioni fossili ottenute a Ellesmere permettono di capire meglio la storia evolutiva del cammello moderno. In base ai dati anatomici e biochimici è possibile stabilire che il cammello si è in realtà originato nelle zone artiche del Nord America e da qui si è poi spostato in Eurasia attraverso lo Stretto di Bering dove si è diversificato nei vari generi esistenti. “È possibile”, conclude l’autrice, “che alcune caratteristiche anatomiche dei cammelli moderni, e in particolare dei dromedari, quali i piedi grossi e piatti, la gobba piena di grasso e gli occhi grandi potrebbero riflettere meccanismi di adattamento alla vita in zone polari sviluppati nell’antenato gigante ritrovato a Ellesmere”.
Riferimenti: Nature Communications doi:10.1038/ncomms2516
Credits immagine: Julius T. Csotonyi