Un controvertice a metà

“Terra e dignità”: lo slogan campeggia nell’atrio del Palazzo dei Congressi all’Eur, Roma, sede dal 9 al 13 giugno del Forum per la Sovranità Alimentare. Mentre i rappresentanti dei governi sono riuniti al quartier generale della Fao qui le organizzazioni non governative di tutto il mondo elaborano le loro proposte per strappare 800 milioni di uomini e di donne a un destino di denutrizione e malnutrizione. Non è un vero e proprio controvertice, come è stato definito dai media in questi giorni: i lavori si sono aperti in un clima di dialogo alla presenza del Direttore Generale della Fao Jacques Diouf che, molto applaudito, ha denunciato l’assenza al World Food Summit dei capi di stato del Nord del mondo. E poi ogni giorno i rispettivi programmi prevedono momenti di lavoro comune. Quello dell’Eur è quindi è un evento parallelo, il summit di una controparte ufficialmente riconosciuta. “Il rapporto con la Fao non è di contrapposizione: sulla maggior parte dei temi ci troviamo in sintonia”, dice Sergio Marelli, presidente del comitato italiano delle Ong, “e speriamo di essere per l’agenzia Onu un laboratorio di idee al quale attingere per elaborare soluzioni”. L’importante, sottolinea Marelli, è uscire dall’equivoco che la Fao abbia potere decisionale quando in realtà tutto dipende dalle decisioni dei governi dei paesi più ricchi. Non a caso i lavori del forum hanno preso le mosse dalla stessa considerazione fatta da Kofi Annan nel suo discorso di apertura del vertice ufficiale: non è stata la scarsa produzione di cibo a far fallire l’obiettivo, fissato sei anni fa, di dimezzare il numero di affamati nel mondo ma la mancanza di volontà politica e di sufficienti risorse finanziarie. A questo punto però emergono le prime divergenze: su cosa bisogna puntare per riuscire a sfamare tutti gli abitanti del pianeta? Quali modelli di produzione e di sviluppo si possono prendere a modello? Per l’agenzia delle Nazioni Unite ci sono pochi dubbi: si devono impiegare le biotecnologie e, in generale, estendere il modello occidentale di agricoltura, industriale e ad alta produttività. Al contrario, le ong sostengono un modello di agricoltura decentralizzata, meno intensiva, che subordina la quantità alla qualità e alla sicurezza. E si oppongono senza appello agli organismi geneticamente modificati. In questo senso, le proposte del forum ruotano tutte intorno al concetto di sovranità alimentare: il diritto dei popoli a definire le proprie politiche e strategie sostenibili di produzione, distribuzione e consumo di alimenti. Rispettando le culture locali e salvaguardando quel patrimonio di diversità biologica costituito dalle migliaia di varietà vegetali e animali selezionate dalle diverse popolazioni del mondo nel corso di millenni di pratica agricola. Altro cavallo di battaglia è l’affermazione del diritto di ogni comunità a gestire le risorse essenziali alla produzione: terra, acqua, patrimonio genetico e credito finanziario. E su questi temi che i rappresentanti di più di 650 associazioni e movimenti da ogni parte del mondo discutono nella monumentale sede del Palazzo dei Congressi. Ci sono le grandi associazioni ambientaliste, come Greenpeace, c’è chi si batte per i sindacalisti agricoli delle popolazioni indigene, come via Campesina, e c’è l’ong palestinese Land Research Centre, che denuncia la devastazione dei terreni agricoli in Palestina a seguito del conflitto. Si parla di pesticidi, accusati di avvelenare 25 milioni di persone ogni anno nei Paesi in via di sviluppo.Eppure non si parla solo dei problemi dei Paesi in via di sviluppo: c’è chi denuncia come negli stessi Usa il modello di agricoltura industriale abbia portato disoccupazione e povertà tra gli agricoltori, tanto che la stessa categoria di lavoratore agricolo ufficialmente in America non esiste più. Ci sono le associazioni italiane, come Legambiente e SlowFood, che parlano di un filo comune che lega la difesa dei diritti dei popoli del terzo mondo alla salvaguardia delle tradizioni alimentari del nostro Paese.E se Jeremy Rifkin, economista e critico della globalizzazione, ha dato forfait all’ultimo minuto, non è mancata all’appuntamento l’ambientalista indiana Vandana Shiva, che è forse la più aspra contro la Fao e contro il vertice ufficiale: “Non importa quale sia l’argomento del summit: che si parli di fame nel mondo o di trattati internazionali, i vertici servono solo a implementare l’agenda del Wto” ha commentato. “La Fao dovrebbe ribattezzarsi Alleanza Internazionale per la Promozione delle Biotecnologie”.In effetti, lo spirito di collaborazione instaurato il primo giorno si era già incrinato il lunedì, quando il summit Fao ha approvato per acclamazione la bozza di documento finale. Che bisogno c’era, si chiedono in molti, di investire così tante risorse in una conferenza che non ha niente da discutere? Il documento ha infatti sbarrato il passo alla discussione dei temi più caldi: sparito ogni riferimento all’approvazione di un codice internazionale per il diritto all’alimentazione, il documento apre la porta agli ogm dicendo addio al principio di precauzione in materia di biotecnologie. “E’ il tema che tocca più direttamente i grandi interessi economici”, commenta ancora Marelli, ”e lo stesso Diouf si mostra al riguardo poco sensibile, temendo di creare tensioni con i governi”.Domani, comunque, i risultati finali di questo forum verranno comunicati alla Fao in forma di raccomandazioni. Ci sarà qualcuno ad ascoltarle?

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