Un enzima come hardware

    Calcolatori grandi quanto un filamento di Dna. Sembra una notizia da fantascienza, scovata tra le righe del romanzo “Viaggio Allucinante” di Isaac Asimov, dove i protagonisti viaggiano all’interno del corpo umano grazie a una navicella che percorre in lungo e largo arterie, vene e vasi linfatici. Invece è realtà. Ed è il risultato di uno studio pubblicato su Nature, condotto da un gruppo di ricercatori del Weizmann Institute of Science di Rehovot, in Israele, coordinati dal professor Ehud Shapiro. “Quello che abbiamo realizzato sono miliardi di microscopiche macchine di Turing. Miliardi di nanocomputer biologici che lavorano in parallelo e sono in grado di risolvere operazioni computazionali”, afferma Shapiro.

    Per costruire l’architettura di questi avveniristici computer, i ricercatori israeliani hanno preparato e utilizzato come hardware dei particolari enzimi, Fok-I e Ligase, e come software piccoli filamenti di Dna. Il passo successivo è stato quelli di mescolare il tutto in provette da laboratorio, a temperatura ambiente. “Data una specifica sequenza di simboli, ovvero di nucleotidi, scelta da noi arbitrariamente, le piccole macchine sono riuscite a calcolare se e in quale quantità questa era presente su sequenze di Dna campione”, continua Shapiro. “Gli enzimi non fanno nulla di molto diverso da quello che avviene normalmente con il Dna. Uno dei passi in avanti è stato quello di programmare a priori queste attività secondo una logica computazionale”. La velocità di calcolo di ogni singolo computer biologico è estremamente bassa, ogni nanocomputer effettua una operazione ogni mille secondi, mentre un suo contraltare di silicio in vendita oggi sul mercato è un miliardo di volte più veloce.

    Ma non è la corsa alla velocità di calcolo che interessa i ricercatori israeliani, orgogliosi di aver creato qualcosa che prima non esisteva. “Abbiamo costruito la prima macchina programmabile di nanodimensioni composta esclusivamente da biomolecole”, continua orgoglioso Shapiro. L’obiettivo è tutt’altro, anche se esiste un filone di ricerca che punta a costruire microchip al Dna in grado di sostituire quelli di silicio. “La nostra ricerca non punta a ottenere prodotti in grado di rivaleggiare con i chip di silicio”, dice Shapiro. “Ma una procedura per costruire dei nanocomputer che riescano a risolvere dei problemi biologici in un ambiente biochimico”. Quello che i ricercatori israeliani vogliono affinare è la correttezza dell’output molecolare, non la capacità di risolvere problemi computazionali sempre più complessi. Vogliono far sì che i nanocomputer siano in grado di dare una risposta corretta quando esposti un input preciso, esplorando ambienti diversi. Un’affidabilità dei risultati che nell’esperimento pubblicato su Nature è pari al 99,8 per cento. “In futuro, per esempio, questa tecnica potrà essere utilizzata per effettuare screening di Dna in provetta, o direttamente nel corpo umano. Ed eventualmente, sempre nel corpo umano agire da detector per rilevare anomalie e sintetizzare direttamente in vivo farmaci che possano correggerle”, conclude Shapiro.

    Scenari che, come detto, tempo addietro si potevano ritrovare nei migliori libri di fantascienza. Ma la strada da percorre è lunga. Per utilizzare le prime applicazioni nei laboratori di tutto il mondo, infatti, bisognerà aspettare almeno una decina di anni.

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