Un eretico high-tech

Clifford Stoll
Confessioni di un eretico high-tech
Garzanti, 2001
pp.183, £ 29.000

“Un computer per ogni studente” è uno degli slogan che, insieme alle sue varianti (per esempio, “Inglese, Internet, Impresa”) sempre più spesso si associa alle proposte per un miglioramento delle scuole di ogni ordine e grado. Nessuno si preoccupa mai di dissentire. Utile quindi è questo volume per sentire una voce fuori dal coro di lodi per l’informatica e la multimedialità. L’eretico high-tech Clifford Stoll è forse poco lucido nelle sue argomentazioni, ma sicuramente mette in evidenza alcuni effetti negativi della rivoluzione informatica nelle scuole: scomparsa delle biblioteche e del loro personale, inibizione dei contatti interpersonali, disabitudine alla lettura, distruzione del ruolo dell’insegnante. Oltre ai noti correlati culturali, che portano alla riduzione della cultura e del sapere a una massa di informazioni non assimilate ma ottenute semplicemente facendo copia e incolla da uno o più siti Internet.

D’altra parte, le statistiche indicano che i computer nelle scuole siano usati soprattutto come macchine da scrivere e videogiochi: è questa la loro pretesa indispensabilità? Davvero è indispensabile imparare da bambini a manovrare un mouse, ad allineare un testo, a disegnare una tabella? Stoll si pone quindi non come un luddista informatico, quanto piuttosto come un umanista preoccupato per il futuro della società. Un’intera generazione di studenti è, secondo lui, preda di falsi profeti di Internet. Quantomeno sospetta risulta infatti l’insistenza delle aziende nello spingere le scuole verso l’informatica. Mentre pochi sono coloro che si preoccupano (soprattutto a livello istituzionale) di rendere effettivamente migliore la qualità didattica: formare un insegnante costerebbe molto meno di dotare un’intera classe di laptop, che nel giro di pochi anni divengono obsoleti. E lo stesso dicasi per una biblioteca. Entrambi durano più a lungo, e sono in grado di comunicare agli studenti qualità umane che nessun computer avrà mai. D’altra parte, ricorda Stoll, simili infatuazioni ebbero luogo per l’insegnamento a distanza o la didattica tramite videocassette. Ma nessuna di queste si rivelò poi migliore, in termini qualitativi ed economici, del caro vecchio supporto cartaceo, il libro, e della lezione in classe.

Il mantra troppo spesso ripetuto per rendere desiderabile Internet è “l’informazione è potere”. Ma Stoll ci invita a pensare come mai non siano allora i bibliotecari le persone più potenti del pianeta. Essere sommersi da una massa enorme di informazioni non è certo positivo se non si possiedono gli strumenti intellettuali per fare una cernita al loro interno. E non è certo la mancanza di informazione il peggior male che affligge la nostra società, quanto l’accesso alle informazioni che realmente servono. Per propria natura il Web non può fornire buona informazione (che non sia già fornita da altri media), a meno che non si sia disposti a pagarla. E qui una critica che si potrebbe rivolgere è che la battaglia non dovrebbe essere contro la tecnologia, ma piuttosto a favore di una sua liberazione dai vincoli proprietari. Il volume di Stoll è centrato sugli Usa. E questo ci fa forse tirare un sospiro di sollievo: vuoi vedere che per una volta il ritardo italiano si rivela favorevole?

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