Spazio

È un geco-robot per rimuovere i rifiuti spaziali

Preoccupati di vedervi piombare in testa un rottame satellitare? Una delle possibili soluzioni al problema dei detriti spaziali potrebbe essere un nuovo netturbino spaziale robotico, ispirato a un geco. Si tratta di una pinza robotica che trae ispirazione infatti dalle zampe adesive dei gechi, per raccogliere ed eliminare i detriti artificiali presenti nello Spazio. La nuova promessa ecologica è stata messa a punto dall’Università di Stanford, negli Stati Uniti, in collaborazione con la Nasa. L’obiettivo è quello di ridurre non solo l’inquinamento spaziale ma anche i costi dovuti alla rimozione di questi frammenti orbitanti. I risultati sono pubblicati su Science Robotics.

Che lo Spazio sia pieno di detriti non è una sorpresa. Le missioni spaziali hanno infatti come esito collaterale la presenza di tonnellate di spazzatura orbitante: sono più di 500mila i piccoli oggetti che si stima ruotino intorno alla Terra. Già oggi si usano dei robot per rimuoverli, ma questi sistemi riescono ad eliminare esclusivamente pezzi cosiddetti collaborativi, ovvero quelli con una forma che consente di afferrarli più facilmente. Più complicata è invece la situazione nel caso di frammenti con superfici curve o lisce, che sfuggono alla presa delle macchine attuali. Le conseguenze sono facilmente immaginabili: quantità enormi di spazzatura spaziale orbitante che, oltre ad inquinare, sono causa di ingenti perdite economiche. Come mai? Spesso i relitti spaziali incontrano nella loro traiettoria sistemi ancora funzionanti, danneggiandoli. Recuperare la spazzatura spaziale inoltre permetterebbe di riciclare materiale che, in questo modo, sarebbe utile anche per nuove missioni.

Per contribuire alla soluzione del problema, il team guidato dall’Università di Stanford ha ideato un nuovo robot spazzino: le zampe del robot, infatti, sono in grado di agguantare anche le superfici più problematiche, come quelle curve o lisce, grandi fino ad un metro di diametro. I risultati sono stati confermati dai test effettuati in microgravità, ovvero in particolari condizioni fisiche in cui la forza peso è molto ridotta. Ma c’è di più: queste zampe aderenti al suolo permettono al robot di arrampicarsi per raggiungere luoghi meno accessibili.

Non è la prima volta che viene proposto un sistema di appendici adesive, ma quello ideato dal gruppo di Jiang dell’Università di Stanford si attiva e si disattiva con maggiore facilità rispetto alle precedenti versioni e si basa su piccoli adesivi a forma di cuneo, il cui controllo risulta più semplice.

Riferimenti: Science Robotics

Articolo prodotto in collaborazione con il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara

Silvia Pavanetto

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