Un laboratorio per la mente

Fino al 1995 era il padiglione dei “tranquilli” del Santa Maria della Pietà di Roma, un complesso costruito nel Novecento per essere il più grande ospedale psichiatrico d’Europa. Oggi è un Museo-Laboratorio della Mente: un luogo dove, a partire dalla plurisecolare storia dell’ “ospedale dei pazzerelli”, ci si può inoltrare nei meandri della mente umana. Il percorso museale è infatti duplice: una sezione storico-scientifica che ci riporta ai tempi, neanche tanto lontani, in cui il il manicomio ospitava i malati, (ancora 400 nel 1994) e un laboratorio che grazie ad allestimenti studiati ad hoc permette di sperimentare in prima persona quanto illusoria può essere la nostra percezione del mondo. Il museo, fortemente voluto da Tommaso Losavio, oggi direttore del Centro di Studi dell’Azienda sanitaria locale Roma E, e realizzato con la consulenza scientifica di Alberto Oliverio, psicobiologo del Cnr, è nato nel 1995 a partire da una mostra sull’assistenza psichiatrica a Roma dal XVI al XX secolo. Il successo della manifestazione convinse gli organizzatori a trasformarla in esposizione permanente, dando così il via al primo nucleo del museo, il cui allestimento è tutt’ora “in progress”. Oltre a un archivio storico (circa millecinquecento documenti amministrativi e oltre ventimila di carattere sanitario, a partire dal XVI secolo, in corso di catalogazione) sono previste esposizioni di dipinti realizzati dai pazienti e di documenti storici.Ma già oggi la visita al Museo è un’esperienza emotivamente coinvolgente, grazie anche alla guida di Adriano Pallotta, per cinquant’anni infermiere al Santa Maria della Pietà e tra i protagonisti quella “rivoluzione” che portò alla legge 180 con la quale fu sancita nel 1978 la chiusura dei manicomi. In quell’anno, dopo oltre un decennio di incessante dibattito e di continua denunzia dell’anacronismo e delle gravi distorsioni del sistema psichiatrico italiano, sotto la minaccia di un referendum popolare, fu infatti emanata la cosiddetta legge Basaglia, dal nome dello psichiatra che promosse il movimento di Psichiatria Democratica. Dopo una panoramica delle vicissitudini storiche del S. Maria della Pietà, illustrate tramite una accurata documentazione iconografica, il percorso prosegue attraverso gli ambienti un tempo destinati al ricovero ospedaliero. E qui il visitatore profano inizia rendersi conto della violenza subita da migliaia di pazienti, il cui primo contatto con la realtà manicomiale avveniva nella “fagotteria”, dove venivano spogliati di tutto, fotografati e vestiti con una divisa. Segue la stanza di visita del medico con i diversi apparecchi per l’elettroshock (marca “Convulsor”), un trattamento di routine, al quale erano sottratti solo epilettici, anziani e bambini sotto i 12 anni. A seguire, la stanza di contenzione, completa di legacci e camicia di forza. Il paziente poteva finirci per i motivi più banali (aver risposto male ai medici o alle suore) e rimanerci anche per un mese, a volte per anni. Infine, immagini e apparecchiature relative ad altre pratiche di “cura” e di ricerca: la malarioterapia (terapia basata sull’inoculazione di una forma benigna di malaria), la terapia morale, l’assistenza infermieristica, la neuroistopatologia e l’ergoterapia ovvero il lavoro “rieducativo” cui erano costretti i ricoverati tra sorveglianza e punizioni. “Fino alla fine degli anni Settanta”, ricorda infatti Pallotta, “gli infermieri erano relegati al ruolo di aguzzini. La nostra funzione all’interno dei padiglioni, severamente controllata dalle suore, era solo quella di evitare che i pazienti creassero problemi, scappassero o agissero con violenza”. L’importante, racconta l’ex infermiere, era che i pazienti restassero dentro e che le notizie di fughe, omicidi e suicidi non venissero all’orecchio della popolazione esterna. Tutt’altra aria si respira nel Laboratorio, un’area esperienziale dedicata agli aspetti più controversi della percezione. Pannelli che riproducono illusioni ottiche permettono di sperimentare quanto il nostro cervello possa ingannarsi nel percepire la realtà. In questo, particolarmente efficace è la ricostruzione della Camera distorta ideata dallo psicologo americano Adelbert Ames jr negli anni Quaranta per dimostrare come il sistema percettivo umano possa essere tratto in inganno introducendo nell’ambiente alcune modificazioni morfologiche che alterino gli abituali parametri architettonici memorizzati dal cervello sulla base di esperienze pregresse e di influenze culturali.Il Museo-Laboratorio della Mente si può visitare solo su prenotazione contattando la segreteria dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 12.30 allo 06/68.352.857 o 06/68.352.927. Il percorso comprende anche la visita alla Farmacia Antica, alla Biblioteca A.Cencelli, all’Archivio Storico e al Parco.

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