Un messaggio da Roma

“Siamo pronti a collaborare con l’Onu, con il Consiglio di sicurezza e con il segretario generale per la risoluzione della guerra nei Balcani e per prevenire nuovi pericoli”. Così Mikhail Gorbaciov, l’ex presidente di quella che fu l’Unione Sovietica, ha cominciato a leggere l’appello rivolto al mondo dai sette premi Nobel per la Pace giunti nei giorni scorsi a Roma. Con lui lo hanno elaborato, dopo 48 ore di riflessione, il sudafricano Willem De Klerk, la guatemalteca Rigoberta Menchù, l’israeliano Shimon Peres, il padre “pentito” dell’atomica Joseph Rotblat, i nordirlandesi David Trimble e Betty Williams. Un summit per la pace conclusosi con 25 righe per chiedere “l’immediata sospensione delle attività militare e l’immediato inizio delle trattative” attraverso il coinvolgimento delle Nazioni Unite, allo scopo di porre fine alla guerra che dura ormai da un mese e che ha provocato l’esodo di almeno 600 mila persone dal Kosovo.

Tutte parole di pace quelle pronunciate dai Nobel nella sala del Campidoglio. Ma sono state parole scandite con fermezza e qualche volta con impeto, come nel caso di Gorbaciov. Da lui è arrivata una lunga requisitoria contro l’Onu e la Nato definita “irresponsabile e folle”. Ma a polemizzare con l’Alleanza atlantica è stata anche Rigoberta Menchù: “In Guatemala – ha detto in un intervento accorato – vi è stata una pulizia etnica che ha causato la morte di duecentomila persone di origine maya. Io sono una sopravvissuta e per questo odio le barbarie degli assassini etnici, eppure mi oppongo alla guerra della Nato contro la Serbia”.

Tutti i sette Nobel si sono detti pronti a partire per Belgrado, se questo fosse necessario per avviare trattative di pace. “L’obiettivo”, ha detto Gorbaciov, “deve essere l’europeizzazione dei Balcani e non la balcanizzazione dell’Europa attraverso una conferenza internazionale per i problemi che riguardano la regione”.

L’appello lanciato dai Nobel ai leader del mondo è stato condiviso dal Papa durante l’incontro in Vaticano. Giovanni Paolo II, che ha accolto calorosamente il “padre” della perestrojka ricordando i loro passati incontri, ha lodato l’iniziativa sottolineando come ‘’la pace può venire solo quando ci si muove oltre la visione dell’uomo e della società basata su razza, religione, nazionalismo o, più generalmente, fondata sulla esclusione degli altri”. Per questo, forse, anche il premier nord-irlandese David Trimble, in passato aveva espresso il desiderio ‘’di essere il primo orangista ad incontrare un Papa’’. Infatti, uno dei principi dell’Ordine di Orange è quello di non essere mai presenti a cerimonie o altri atti dei ‘’papisti’’. Ora il suo desiderio è stato esaudito.

Il summit, organizzato dalla Fondazione Gorbaciov e dal Comune di Roma, era stato programmato due anni fa per riunire le personalità che più sono adoperate per la pace nel mondo. A loro è stato chiesto di tratteggiare una politica internazionale per il nuovo millennio, basata sulla tolleranza e il rispetto dei diritti umani in ogni angolo del mondo. “Siamo un piccolo gruppo e siamo disposti a cambiare il mondo”, ha detto la “pasionaria” nordirlandese Betty Williams. E “il mondo non può e non deve assistere al tragico spettacolo di bambini, donne e gente di ogni età vagare senza cibo e senza aiuto medico”, ha continuato leggendo le prime righe dell’appello, aggiunte a penna e fortemente volute da Rigoberta Menchù.

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