Ambiente

Un metodo green per estrarre e purificare le terre rare

Nei cellulari, negli hard disk, nelle fibre ottiche, nei veicoli elettrici ed ibridi, e ancora nelle batterie, nei laser, nei monitor, nelle turbine eoliche. Le terre rare – un gruppo di 17 elementi chimici – sono ovunque e realisticamente lo saranno sempre di più con la transizione ecologica. Ma trovare, o meglio estrarre, questi elementi è tutt’altro che facile, sia dal punto di vista tecnologico che dal punto di vista ambientale (tema caldo, di riflesso, anche nelle questioni politiche). Per questo sarebbero quanto mai necessari processi green anche per la loro estrazione. E qualcosa sembra muoversi proprio nel campo.

Lo annunciano i ricercatori di alcuni atenei statunitensi che utilizzano le pagine della rivista Acs Central Science per farlo: hanno trovato una proteina di origine batterica che è in grado di legare le terre rare, e che potrebbe per questo essere utilizzata come “filtro” per pescare questi elementi e separarli dal resto. E per “resto” i ricercatori intendono anche fonti poco arricchite, dove le terre rare sono mescolate con altri metalli, presenti in piccole quantità e non sempre facili da reperire. È il caso, spiegano gli autori, di alcuni rifiuti industriali, ma anche elettronici.

L’idea che è venuta ai ricercatori è quella di sfruttare l’affinità di una proteina batterica – la lanmodulina – che ha una spiccatissima specificità per le terre rare. Immobilizzandola su delle palline di agarosio (un polimero polisaccaride), a loro volta impacchettate all’interno di una colonna, è possibile utilizzarla per filtrare le terre rare a partire da una soluzione che le contiene. Come? Giocando su condizioni chimiche – come il ph – è possibile “staccare” in un secondo momento le terre rare legate alla proteina, purificandole di fatto, come riassume l’abstract grafico del paper.

“Anche in soluzioni complesse dove meno dello 0,1% dei metalli sono terre rare – e parliamo di una quantità estremamente bassa – siamo riusciti con successo a estrarre prima e poi separare in un unico passaggio terre rare più leggere da terre rare più pesanti”, ha spiegato Joseph Cotruv della Pennsylvania State University, tra gli autori del paper. Ma non solo: come proof of concept i ricercatori hanno dimostrato che questo metodo riesce a separare, con elevata purezza, anche coppie di terre rare: come il neodimio dal disprosio e l’ittrio dal neodimio. Inoltre, cosa importante, la proteina rimane stabile attraverso diversi cicli di assorbimento/desorbimento, spiegano gli autori, permettendone più e più volte l’utilizzo per arricchire le terre rare a partire da diverse soluzioni. Le palline usate come supporto sono bio-rinnovabili, aggiungono, e non si usano solventi organici nel processo. Questo, unito all’elevata capacità di purificazione, anche a partire da materie prime che contengono poche terre rare, candida il loro metodo green a essere indagato in futuro. Magari ottimizzando anche le affinità della proteina per i diversi elementi.

Via: Wired.it

Dall’archivio di Galileo: Fame di terre rare

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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