Un nuovo materiale per le staminali

Un nuovo materiale a servizio della biologia e della medicina, per far crescere le cellule staminali senza più ricorrere a cellule e proteine di topo. A realizzarlo sono stati i ricercatori del Mit di Boston guidati da Ying Mei e da Krishanu Saha della University of California di Berkeley, primi autori dello studio apparso su Nature Materials. Si tratta della prima superficie totalmente sintetica che permette alle cellule staminali di vivere e continuare a riprodursi per almeno tre mesi, formando colonie di cellule identiche a quelle di partenza.

Le cellule staminali possono essere adulte o embrionali. Quelle embrionali, a loro volta, possono essere “originali” o derivate dalle cellule somatiche (per esempio della pelle) regredite a uno stadio pluripotente (vedi Galileo). Al momento, le malattie per cui il trattamento con le cellule staminali è dichiarato sicuro ed è entrato nella pratica medica sono pochissime (vedi Galileo), anche a causa della forte propensione di queste cellule a sviluppare tumori. Per molte altre patologie, comunque, sono in corso studi e sperimentazioni (c’è fermento soprattutto per le staminali neuronali e quelle in grado di produrre insulina, da poter impiegare in pazienti con traumi al midollo spinale e con diabete di tipo 1). Certo, serviranno almeno una dozzina di anni prima di poterne vedere le applicazioni in campo medico. Quando questo accadrà, però, sarà fondamentale avere a disposizione un sistema di coltura efficiente, dal momento che per una sola terapia possono servire miliardi di cellule. 

Attualmente, le superfici di crescita consistono in un disco di plastica ricoperto con una sostanza gelatinosa su cui poggiano cellule o proteine murine, necessarie per mantenere in vita le staminali. Precedenti studi avevano suggerito che numerose proprietà chimiche e fisiche della superficie – come la ruvidità, la rigidità e l’affinità per l’acqua – possano influenzare la crescita delle cellule. Partendo da queste informazioni, Mei e Saha hanno creato circa 500 polimeri (lunghe catene di molecole che si ripetono) e valutato le loro performance. Risultato: le superfici migliori per le staminali sono quelle idrofobiche che includono nella struttura un’alta percentuale di acrilati, ricoperte da una proteina sintetica chiamata vitronectina, che promuove l’attecchimento delle cellule. Ruvidità e rigidità, al contrario, non sembrano avere alcun effetto sulla loro crescita.

Riferimento DOI: 10.1038/nmat2812

Tiziana Moriconi

Giornalista, a Galileo dal 2007. È laureata in Scienze Naturali (paleobiologia) e ha un master in Comunicazione della Scienza conseguito alla Scuola Superiore di Studi Avanzati di Trieste. Collabora con D la Repubblica online, Salute SenoLe Scienze, Science Magazine (Ed. Pearson), Wired.it.

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  • bello! spero che diventi una cosa fattibile! ma ne sono più che certo! evviva la medicina! ciò mi spinge sempre di più a fare ingegneria genetica! evviva! una cura per tutto! come si credeva con la penicellina ma più efficace!!! LOL

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