Un piano per salvare il Po

L’onda di idrocarburi che lo scorso febbraio percorreva il Po è stata bloccata a Isola Serafini. Un pericolo scampato per il tratto a valle del principale fiume d’Italia: i rilievi delle Arpa regionali riferiscono infatti di valori di inquinamento al di sotto dei livelli di pericolosità; una buona notizia, anche se restano ancora da avviare le azioni di monitoraggio e bonifica lungo il Lambro, da cui proveniva il gasolio sversato dall’azienda Lombarda Petroli. Mentre si cerca di chiudere questo capitolo, si pensa a un sistema generale di salvaguardia totale per un fiume bersagliato su più fronti. La svolta potrebbe arrivare dal Piano di gestione del distretto idrografico del Po, previsto dalla Direttiva Quadro sulle Acque (Dqa) 2000/60/CE, recepita a livello nazionale dal D.lgs 152/06.

Adottato nel febbraio scorso, il Piano di gestione del Po, insieme ai piani per ogni distretto idrografico italiano, rappresenta lo strumento con cui l’Europa mira a istituire una regolamentazione per la protezione delle risorse idriche. In esso sono contenute tutte le misure per raggiungere, entro il 2015, un buono stato ecologico delle acque. “Attualmente è in corso la fase di approvazione con decreto del presidente del Consiglio dei Ministri, come previsto dalla legge. Si può affermare, comunque, che il Piano sia già partito”, spiega Francesco Puma, dirigente dell’Autorità di Bacino per delega del Ministero dell’Ambiente (in attesa, dal 2007, della nomina del nuovo segretario generale). “Sono già in atto, infatti, – continua Puma – i programmi per l’ottimizzazione della gestione dei reflui urbani e per il controllo dell’uso dei fertilizzanti e delle deiezioni animali in agricoltura, cioè le principali forme di inquinamento del Po”. Ecco gli altri obiettivi del Piano: migliorare lo stato degli ecosistemi acquatici, terrestri e delle zone umide, favorire un utilizzo idrico sostenibile, trovare misure specifiche per la graduale riduzione degli scarichi e mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità.

La novità del Piano di gestione consiste nel fornire una classificazione esaustiva dello ‘stato ecologico’ di un corso d’acqua, prendendo in considerazione fauna ittica, flora acquatica, continuità fluviale, condizioni morfologiche. Altro fine è il raggruppamento, in un unico testo, di più direttive (per esempio, la direttiva “Habitat” e quella “Uccelli”).“Oltre agli elementi chimico-fisici e biologici relativi alla qualità delle acque, sono stati considerati ulteriori aspetti che influenzano la qualità degli ecosistemi acquatici, come quelli idro-morfologici”, continua Puma: “Il piano è il presupposto per integrare sempre di più la protezione e la gestione sostenibile delle acque nelle politiche energetica, dei trasporti e agricola. Tutti i settori di impiego dell’acqua devono contribuire al raggiungimento degli obiettivi della Dqa”.

Se da un lato il Piano di gestione viene visto come una importante occasione per la riqualificazione del Po, le associazioni ambientaliste chiedono a gran voce che non resti un contenitore di buoni propositi e mettono in evidenza alcune criticità. “I piani di gestione dei distretti idrografici dovevano essere avviati nel 2006, dopo che la caratterizzazione dei bacini, l’analisi degli impatti e l’analisi economica fossero state predisposte”, spiega Andrea Agapito, responsabile Acque del Wwf: “Doveva essere avviato un percorso di partecipazione pubblica con il coinvolgimento degli stakeholders. Purtroppo solo nel febbraio 2009 le Autorità di bacino sono state incaricate di coordinare i Piani; quindi il percorso di partecipazione, che doveva avvenire in tre anni, si è concentrato in poco più di un mese. L’Autorità di bacino del Po, in particolare, si è trovata a redigere il Piano con tempi inadeguati e praticamente senza soldi”. Ma questo non è il solo punto critico. Secondo Agapito, gli interventi previsti nei Piani dovrebbero essere declinati in modo specifico per ogni sistema idrico, e i criteri per la classificazione dello ‘stato di qualità’ delle acque dovrebbero corrispondere a quelli individuati dalla Direttiva. Invece, al momento, sono basati sui Piani di tutela delle acque (redatti ai sensi del D.Lgs. 152/99 dalle Regioni) che non considerano la componente ittica, la vegetazione acquatica e il fitoplancton. Inoltre, alcuni aspetti indispensabili per la definizione delle misure di intervento – tra cui l’analisi economica – sono stati curati in modo superficiale.

Un invito alla chiarezza, insomma, e all’individuazione degli strumenti specifici e delle risorse che saranno messi in campo per affrontare il degrado degli habitat, l’inquinamento, il dissesto idrogeologico e la forte competizione tra i settori (industriali, civili e agricoli) che sfruttano il fiume. “Il Po è visto come una condotta idraulica e non come un organismo vivente: qui si riversano gli scarichi industriali e i reflui dell’agricoltura. Data l’ampiezza del bacino del Po non è facile avere un quadro esaustivo della qualità delle acque, anche perchè non esiste un sistema di rilevazione attraverso centraline, come accade invece per l’aria”, spiega Eddi Boschetti, presidente del Wwf Rovigo, che continua: “La vera sfida è dare una regia unica alla gestione del fiume. Ogni regione bagnata dal Po vuole dire la sua e ciò genera lentezze. Per esempio, è stato accertato che solo il 10 per cento della sabbia scavata lungo il Po è registrata nel territorio, il resto è attività illecita con danni all’ambiente e alle coste; fenomeni difficili da monitorare perché spesso le cave si trovano tra due regioni e non è chiaro chi deve intervenire”.

Ora il confronto tra associazioni, enti e Autorità di bacino è rimandato al 22 e 23 aprile a Barcellona, durante la conferenza internazionale organizzata dallo European Environment Bureau (Eeb) sulla Direttiva 2000/60/CE nei Paesi Mediterranei. In questa occasione si parlerà proprio di come i Paesi del Mediterraneo, e quindi anche l’Italia, dovranno adeguarsi all’applicazione della Direttiva.

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