Un ruolo da reiventare

Il nuovo Comitato Nazionale di Bioetica è stato nominato il 7 dicembre scorso, a ben sei mesi dall’insediamento del governo e dopo uno sciopero della fame per il ripristino della legalità promosso dai Radicali italiani e portato avanti per quindici giorni da centinaia di cittadini, tra cui anche il ministro Emma Bonino. È stata accolta anche la richiesta di ridurre il numero dei componenti, ritornando all’originaria quota di 35, di cui 5 ex presidenti, divenuti onorari, e, vera novità, 14 donne. Un messaggio di svecchiamento non solo per l’età media dei componenti, ma per la tipologia dei rappresentanti. A presiedere il Comitato sarà un magistrato, Francesco Paolo Casavola, che ha occupato in passato lo scanno più alto della Corte Costituzionale e che oggi presiede l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana.

Per prima cosa il nuovo Comitato dovrà definire la sua agenda facendo i conti con l’attualità di un dibattito politico e pubblico in cui non pochi sono i temi eticamente sensibili. Questioni di vita o di morte, si può ben dire, come il testamento biologico, il confronto sull’eutanasia e sull’accanimento terapeutico sollevati dal caso di Welby, ma anche i patti di solidarietà civile (Pacs), che il governo ha deciso di affrontare con una proposta di legge, in tempi brevi, proprio lo stesso giorno della nomina del Cnb.

In effetti, la bioetica e i temi eticamente sensibili non sono più appannaggio dei soli consessi universitari. La diffusione dei dibattiti sui mass media, i casi concreti e l’agenda politica sempre più affollata, ci raccontano che i tempi sono decisamente maturi per prendere delle decisioni. Ne abbiamo parlato con Giovanni Berlinguer, europarlamentare ma anche medico e bioeticista, uno dei padri dell’insegnamento della bioetica laica nella università italiana.

Professor Berlinguer, secondo lei, la politica fugge il peso della realtà o sta cominciando a dimostrare di poter dare alcune risposte?

“La politica è molto indietro rispetto alle decisioni che devono essere prese, soprattutto in Italia. Si crea un muro contro muro. Ci sono pressioni indebite. La politica strumentalizza la bioetica, ne fa oggetto di schieramento e di favori culturali, favorendo delle tendenze chiesastiche, e questo non giova alla serietà degli argomenti, né alle decisioni da assumere”.

Grazie all’iniziativa dei Radicali, il governo ha finalmente insediato il nuovo Comitato Nazionale di Bioetica. Cosa ne pensa?

“Ho condiviso l’iniziativa dello sciopero della fame, anche se non l’ho praticato. Il neopresidente del Cnb è Casavola, un giurista rispettato che può fare un buon lavoro. È stato già presidente della Consulta e dell’Authority delle telecomunicazioni. Inoltre, i membri sono scesi a 35”.

Se lei potesse, cosa innoverebbe?

“Una piccola esigenza è quella di evitare la sedimentazione geologica dei presidenti uscenti. È vero che sono nominati presidenti onorari, ma dovrebbero limitarsi a essere onorari senza partecipare alle polemiche quotidiane. Io, da ex presidente, non mi sono associato a questo comportamento. L’altra questione è decidere un’agenda. Si sono sedimentati molti argomenti negli anni, ma oggi non sarebbero più attuali, sarebbe opportuno ricominciare daccapo”.

In 15 anni di attività, il Cnb ha prodotto circa 60 documenti. Quanto è stato rilevante il rapporto con il Parlamento?

“In generale il Cnb è stato poco ascoltato da tutti. Le sue risoluzioni sono state spesso criptiche, poco leggibili dai cittadini e il Parlamento non lo ha sollecitato molto. Questo rapporto va cambiato sostanzialmente. Il Cnb deve acquisire autorità, oppure se la può prendere, facendo battaglie avanzate”.

Negli anni è emerso un problema di autonomia di gestione, per carenza di budget. Si tratta di una questione aperta e rilevante?

“No, è secondaria. È vero che occorrono mezzi per diffondere in modo ampio i documenti  e acquisire qualche consulenza specifica – anche se queste dovrebbero provenire dagli stessi membri del Cnb – ma le somme che occorrerebbero sono irrisorie rispetto alle disponibilità delle casse dello Stato”.

Nel caso umano e politico di Piero Welby, il Cnb potrebbe svolgere un compito importante?

“Sì, potrebbe iniziare subito a fare chiarezza con il distinguere i campi diversi del dibattito in corso: la terapia del dolore, l’accanimento terapeutico, la cessazione delle cure e l’eutanasia vera e propria, intesa come somministrazione letale. A mio avviso, ci si deve concentrare sulla sospensione delle cure. Molti credono che la vita non ci appartenga e che sia nelle mani di dio, ma la decisione se iniziare o no una cura, se interromperla o meno, per legge, deve essere presa dal soggetto e da nessun altro”.

Per Piero Welby, il problema è l’accanimento terapeutico o, molto semplicemente, il rispetto della volontà del soggetto?

“La decisione appartiene al soggetto. Non si può impedire che venga attuata solo per il fatto che Welby è paralizzato: di certo non lo è la sua volontà. Se si può decidere o meno di accogliere delle cure, non è possibile poi impedire la volontà di interromperle: sarebbe illogico. L’articolo 32 della Costituzione non può essere utilizzato ad horas. Nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario, se non per disposizioni di legge, che, tuttavia, non devono ledere la dignità umana”.

Il conflitto laici-cattolici è ancora attuale o si potrebbe trovare una comunanza di valori, alla luce di bisogni nuovi degli individui, sempre più evidenti?

“Esistono molte e diverse etiche e questa è una ricchezza. Molte e diverse posizioni laiche. Molte e diverse posizioni religiose e non solo cattoliche. Poi, tra quelle cattoliche possono esistere opinioni diverse. Questa è l’esigenza della libertà. Ma non tutto ciò che si può fare, si deve poter fare”.

La versione integrale dell’intervista a Giovanni Berlinguer può essere ascoltata sul sito di Radio Radicale. 

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