Categorie: Società

Una guida per i ricercatori europei

Nel 2010 gli europei che avranno varcato la soglia dei 75 anni saranno aumentati del 40 per cento rispetto a oggi. E con l’età è destinata a crescere anche la spesa sanitaria per la cura delle malattie legate all’invecchiamento: patologie cardiovascolari e neurologiche, cancro, infezioni. Parallelamente, si registrerà un numero sempre maggiore di malati di Aids, di epatite B e C, anche nella popolazione più giovane.

L’Europa dovrà rispondere a questa sfida. Affrontando i problemi a monte, sul fronte della ricerca. E proprio per questo l’Unione Europea, nell’ambito del IV Programma Quadro, finanzia ben tre programmi: Biomed 2 (biomedicina e sanità), Biotech 2 (biotecnologie), Tmr (Training and mobility of researchers, per la formazione e la mobilità dei ricercatori). Ma quali caratteristiche presentano questi progetti? Come preparare un progetto di ricerca? Come orientarsi? A chi rivolgersi? Spesso i ricercatori si bloccano di fronte alle prime difficoltà e dimostrano un atteggiamento di diffidenza nei confronti dell’esperienza di cooperazione comunitaria. Per rendere loro la strada più facile, tre anni fa, il professor Tony Davies, dell’Università di Londra, propose all’Unione europea di realizzare una guida sulle opportunità di finanziamento nel campo della ricerca medica, odontoiatrica e veterinaria. La guida venne pubblicata nel ‘95 con il titolo “Medicine in Europe”. Ora, a due anni di distanza, è stata pubblicata la versione italiana, “Medicina in Europa”, (edita dall’Ufficio Pubblicazioni Ufficiali delle Comunità Europee, Lussemburgo, prezzo 10 Ecu). Non una semplice traduzione della versione inglese, ma una rielaborazione adattata alle esigenze del ricercatore italiano, con tanto di appendice di indirizzi italiani e stranieri a cui rivolgersi per maggiori informazioni.

Insieme alle telecomunicazioni e all’informatica, il settore biomedico è quello su cui vengono riposte le maggiori speranze per la creazione di nuova occupazione e per il rilancio dell’economia. Si prevede, ad esempio, che per affrontare i problemi sanitari sarà necessario un aumento superiore al cento per cento del mercato di prodotti dell’industria biotecnologica, che oggi si aggira attorno ai 30 milioni di Ecu: via dunque agli incentivi per l’ingegneria genetica. Si dovrà cercare, inoltre, di limitare le migrazioni sanitarie attraverso lo sviluppo della telemedicina, anche per le emergenze a distanza, favorire la gestione domiciliare del paziente anziano, stabilire criteri per il controllo di qualità e la standardizzazione dei trattamenti, stimolare la crescita di servizi su prenotazione a distanza, dare impulso agli studi multicentrici transnazionali, e incrementare l’industria dei biomateriali per realizzare protesi compatibili con l’organismo umano.

Questi obiettivi caratterizzano gli europrogrammi, di cui la guida firmata da esperti Ue mette in evidenza gli elementi più pratici: “prima di sprecare tempo ed energie nella preparazione di una proposta relativa a uno qualsiasi dei settori previsti dal Tmr, si consiglia di telefonare alla Help-line del programma al numero +322 296 02 54, o ad un punto di contatto nazionale, per assicurarsi che il progetto ideato risponda ai requisiti richiesti”, avverte la quida a pagina 34. E i programmi vengono passati al setaccio, uno a uno. Si scopre così che il programma Biomed 2, nel settore 3, ad esempio, finanzia gli studi sulle funzioni del cervello e i meccanismi che stanno alla base delle malattie mentali e neurologiche, integrando ricerche di tipo molecolare, cellulare e clinico. Il settore 4.4 appoggia invece la ricerca sulle malattie croniche e sull’invecchiamento, il settore 4.3 prevede uno specifico programma sulle malattie cardiovascolari, offrendo sostegno agli studi sui meccanismi di infiammazione cardiaca, sulle tecniche di immaginografia e su quelle di esplorazione invasiva e non invasiva, e via dicendo. Nel programma Biotech 2 si prevedono finanziamenti per ricerche sulla cellula e sul genoma, sullo sviluppo di biotecnologie vegetali e animali, sulla biodiversità, sull’immunologia e sui vaccini per i trapianti.

Insomma ricerca e ricadute pratiche, studio in laboratorio e applicazione industriale. Un indirizzo che ha suscitato le critiche di molti esponenti del mondo accademico: l’Unione è stata accusata di limitare la libertà e la creatività dei ricercatori in nome delle ricadute pratiche ed economiche. Ma questo atteggiamento sta cambiando. Anche perché l’Europa non riesce ancora a colmare il gap con gli Stati Uniti e con il Giappone. A tutt’oggi, l’impegno globale in spese per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, in percentuale del Pil, è dell’1,9 per cento in Europa, contro il 2,45 per cento degli Usa e il 2,95 del Giappone. E anche il numero dei ricercatori è inferiore a quello degli americani e quasi la metà dei giapponesi. L’Europa resta comunque una grande potenza scientifica, sottolineano C. Lombardo, A. J.S. Davies, D. Dodd, L. Santi, curatori della guida per i ricercatori del vecchio continente, “ma purtroppo non ha la capacità di tradurre le conoscenze in brevetti sfruttabili, dimostrando che la prestazione tecnologica europea è nel complesso inferiore a quella dei suoi concorrenti: ”.

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