“Una legge da Stato etico”

Un’atmosfera così non la vivevamo dai tempi del divorzio o dell’aborto: la recente discussione alla Camera della legge sulla procreazione assistita ha riacceso gli animi. Come allora, anche in questo caso il Parlamento ha dibattuto argomenti che toccano da vicino la sfera privata e le scelte personali di donne e di uomini. Emendando, approvando, bocciando. E alla fine decidendo. Normale, anzi auspicabile in una società democratica. Eppure, esiste il sospetto che sotto le decisioni dei nostri parlamentari abbiano giocato elementi che esulano dal compito del legislatore. Non c’è dubbio che lo Stato debba tutelare la salute e la dignità delle persone. Ma viene da chiedersi se ciò si possa spingere fino a limitare l’accesso alla fecondazione artificiale solo ad alcuni cittadini e vietare l’uso di gameti (ovuli o spermatozoi) di un donatore esterno alla coppia. Galileo ne ha parlato con Gloria Buffo, deputata dei Democratici di sinistra che segue da vicino questi temi.

Da più di un mese è iniziata alla Camera la discussione della proposta di legge sulla procreazione assistita. Il 4 febbraio è stato approvato l’emendamento che vieta l’uso di gameti eterologhi, cioè esterni alla coppia. Il 24 febbraio è invece passato l’articolo 5, che consente l’accesso alla fecondazione artificiale alle coppie “di fatto”, ma non a quelle omosessuali e alle donne singole. Onorevole Buffo, cosa pensa di queste decisioni?

“Già l’impianto del testo unificato presentato alla Camera risente fortemente di un’impostazione che antepone la ‘norma familiare’ ad altri criteri. Per esempio, nella gerarchia etica delle tecniche di fecondazione, l’uso di gameti eterologhi viene dopo l’uso di quelli omologhi. La salute e la dignità delle persone, che dovrebbe essere il fulcro dell’impegno legislativo, vengono sacrificate a principi etici o culturali. Questa torsione è stata palese durante il dibattito in aula: per esempio, è emersa con chiarezza nella maggioranza dei parlamentari una resistenza culturale di fronte a un fatto certo: nel campo della riproduzione esiste ed è sempre esistito un primato femminile, primato che le tecniche recenti non fanno che mettere in evidenza ”.

Cosa intende?

“Si possono fare figli senza il corpo di un uomo, ma non senza quello di una donna. A mio avviso, la resistenza di fronte a questo dato di fatto ha influito nelle discussioni e nei voti finali. Per esempio, dovendo decidere quali tecniche consentire e quali vietare per legge, è emersa la paura degli uomini che si sentono minacciati nel loro ruolo. E’ singolare infatti che nella discussione sulla possibilità di utilizzare gameti al di fuori della coppia si sia parlato esclusivamente di seme maschile. Il fantasma che aleggiava in aula era chiaramente quello della sostituzione del padre, la paura di non riconoscere la paternità”.

Secondo lei come procederà l’iter di questa legge?

“Finora abbiamo discusso i primi articoli, quelli che riguardano la regolamentazione dell’accesso a queste tecniche. Ma ci aspettano altri due punti caldi: le norme relative allo statuto dell’embrione e quelle sulla ricerca e la sperimentazione. Come si può facilmente immaginare, si tratta di campi su cui sono prevedibili scontri e spaccature. Rispetto al primo, per esempio, si tratta di vedere se prevarrà il criterio di considerare prioritaria la salute della donna o quella dell’embrione. In questo secondo caso potrebbe passare una norma che impone un tetto massimo nel numero di embrioni che possono essere prodotti a ogni tentativo. Con questo limite, ci sono ovviamente meno probabilità di successo e per avere un figlio la futura madre sarà costretta a ripetere la procedura e a sottoporsi di nuovo ai trattamenti ormonali. E si tratta di terapie tutt’altro che leggere. In generale, se sull’embrione saranno proposte norme punitive per le donne, che mettono in discussione diritti già acquisiti, prevedo che i tempi saranno lunghissimi. Un rimpallo infinito tra Camera e Senato. E nel frattempo i cittadini rimarranno senza tutela”.

A suo parere, cosa ci dovremmo aspettare da una legge sulla procreazione assistita?

“Intanto che non scambi considerazioni di opportunità etica con il diritto, che ha l’unico compito di garantire i cittadini da interventi che ledono la loro salute o la loro dignità. Uno Stato laico non si deve trasformare in uno Stato etico, che giudica chi può fare o non fare figli in base a una norma familiare estremamente rigida. Sarebbe come se per legge venisse vietata la riproduzione alle coppie povere che hanno già altri figli, o alle madri depresse. Una cosa mi ha sconcertato: nella discussione alla Camera a più riprese ci si appellava alla ‘libertà di coscienza’ dei presenti, perché si era chiamati a esprimere giudizi su questioni etiche. Ma se è così, mi chiedo, perché la ‘libertà di coscienza’ di 600 parlamentari si deve sostituire a quella di milioni di cittadini? Dunque, che decidano loro, nel rispetto delle norme per la salute che devono, queste sì, essere garantite per legge nei centri sanitari”.

Ma allora, quale dovrebbe essere l’intervento dello Stato?

“Molti dicono che o si fa una legge o ci si trova nel Far West: io non credo che sia vero. Basterebbero interventi mirati da parte del Ministero della sanità e delle regioni per ottenere un regolamento che tuteli i cittadini, e il Far West scomparirebbe. Credo che si dovrebbe tendere a una normativa ‘leggera’, che tuteli dal punto di vista sanitario e da speculazioni improprie, e vieti il disconoscimento di paternità. Nient’altro. Mentre una legge ‘pesante’ come quella attualmente in discussione, dove i convincimenti personali sconfinano nel diritto, può portare a situazioni molto difficili. Infatti, non dimentichiamo che sono previste anche sanzioni penali: quale tutela potrà avere un bambino nato con un seme eterologo, da genitori che sono addirittura passibili di procedimenti giudiziari? Non è peggio questo del Far West?”.

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