Categorie: Ambiente

Una macedonia di energia

Un vetro trasparente, che assomiglia in tutto e per tutto a quelle delle nostre finestre. Ma che in realtà è fatta con un materiale assai speciale, in grado di produrre elettricità. È una delle applicazioni più promettenti delle ricerche condotte da Michael Grätzel, del Dipartimento di chimica del Politecnico federale di Losanna. Questi pannelli solari innovativi sono stati presentati nelle scorse settimane durante un incontro al Centro Ettore Majorana di Erice, vicino a Trapani. La novità è che essi sfruttano il processo della fotosintesi naturale per catturare la luce del Sole e convertirla in elettricità. Esattamente lo stesso processo chimico utilizzato dalle piante verdi per tramutare l’energia solare in nutrimento.

Il Sole è la nostra maggiore fonte di energia. Se tutta la radiazione solare che investe la Terra potesse venire sfruttata, gran parte dei problemi energetici che ci affliggono sarebbero risolti: drastica riduzione dell’inquinamento e niente più preoccupazioni per l’esaurimento delle scorte. Purtroppo, però, i pannelli solari tradizionali non hanno una efficienza sufficiente e oltretutto il loro costo di produzione notevolmente alti. Così si arriva al paradosso che la luce del Sole è sì gratis, ma la corrente elettrica che se ne ricava finisce con l’essere assai più cara di quella generata, per esempio, con il petrolio. E l’impiego su vasta scala dell’energia solare rimane un bel progetto.

Il nuovo vetro di Grätzel, invece, richiede una spesa cinque volte inferiore a quella dei pannelli classici e, a parità di superficie, genera molta più corrente: un solo metro quadro di pannelli a fotosintesi naturale può produrre ogni anno circa 250 Kw di energia. Ne basterebbero alcuni per coprire una buona porzione del fabbisogno medio di una famiglia che è circa di 3500 Kw. Ma è lo stesso Michael Grätzel a spiegarci meglio i risultati del suo lavoro.

Professor Grätzel, come funzionano le sue celle fotovoltaiche?

“All’interno di ogni cella solare c’è una pellicola costituita da particelle nanocristalline di ossido di titanio. Questa è a sua volta ricoperta da uno strato monomolecolare di un colorante organico. La cella funziona in modo molto simile al processo naturale della fotosintesi: il colorante assorbe molta luce solare e si comporta come la clorofilla nelle foglie verdi. Esso, quindi, acquisisce abbastanza energia da immettere gli elettroni da immetterli nella banda di conduzione della pellicola nanocristallina di ossido di titanio, che ha la stessa funzione della membrana nei cloroplasti delle piante. Il ruolo delle particelle nanocristalline ha una triplice valenza: far sì che la pellicola abbia una grande superficie interna in modo tale da catturare più luce, raccogliere gli elettroni inviati dal colorante eccitato e trasportarli nel collettore di carica”.

Quali coloranti avete impiegato?

“In natura esistono molti coloranti che possono essere utilizzati, molti sono ricavati proprio dalle piante. Per esempio quelli antociani, estratti dalle ciliegie e dalle more, sono molto adatti. Inoltre è possibile utilizzare i derivati della clorofilla. Tuttavia i più efficienti sono i coloranti che trasferiscono le cariche elettriche attraverso il rutenio sintetico. Questi sono sviluppati nei nostri laboratori e possiedono tutti i requisiti per funzionare in modo stabile per almeno venti anni”.

Quali sono le differenze principali rispetto ai pannelli attuali?

“Questo progetto rivoluziona la tecnologia fotovoltaica che per la prima volta riesce a imitare le piante verdi. Rispetto ai dispositivi solari convenzionali hanno molti vantaggi. Per esempio, se le nostre celle vengono ricoperte con un colorante sensibile alle radiazioni del vicino infrarosso, esse non assorbono la luce visibile. Sono insomma trasparenti e possono quindi servire per costruire finestre che producono elettricità. Un altro pregio è la capacità di queste celle di catturare fasci luminosi provenienti da qualunque angolazione. Inoltre hanno costi di produzione minori e per la loro realizzazione vengono utilizzati materiali poco inquinanti”.

Quando vedremo le sue celle prodotte su larga scala?

“Penso entro uno o due anni. E tra le molte applicazioni, una delle prime sarà proprio la costruzione di finestre capaci di produrre energia elettrica”.

Federico Ferrazza

Giornalista, è nato nel 1978. E' coordinatore del sito Wired.it. Ha scritto di tecnologia, new media e scienza per alcune delle principali testate nazionali; tra queste: Galileo, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, L’espresso, Il Venerdì di Repubblica, Wired Italia, XL, Il Corriere delle Comunicazioni, Sapere. Insegna new media e giornalismo on-line in alcuni master universitari. 

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