Una molecola per comunicare

Un insieme di centomila miliardi di cellule, che comunicano tra loro scambiandosi continuamente dei messaggi chimici: così è l’organismo umano. Ma il modo in cui avviene questo andirivieni di informazioni resta ancora in parte da chiarire. Oggi un gruppo di ricercatori italiani, inglesi e americani ha fatto un importante passo avanti: definendo finalmente la struttura della clatrina, una molecola essenziale nel processo di comunicazione cellulare. I risultati di questi studi sono stati pubblicati sul numero di giugno della rivista “Molecular Cell”.

Le cellule degli animali non sono cittadelle fortificate, con un certo numero di ingressi fissi e controllati. Assomigliano piuttosto a malleabili bolle di sapone, la cui superficie si dilata continuamente, formando vescicole che si introflettono o estroflettono a seconda che occorra assumere materiale dall’esterno o espellerlo. Il processo però non è casuale, e ogni vescicola deve la sua forma a una sorta di intelaiatura, costituita principalmente dalla clatrina.

Lo scambio di materia con l’esterno è una funzione fondamentale per le cellule ma in alcuni tipi, specializzati nella secrezione, assume dimensioni impressionanti. Così avviene per esempio nelle cellule ghiandolari, che mettono in circolo gli ormoni da esse prodotti, o nelle cellule nervose, che rilasciano e recuperano in continuazione i loro neurotrasmettitori. Si calcola che sommando l’area delle vescicole formatesi ogni ora nei 100 miliardi di cellule nervose che compongono il cervello umano, si ottenga la superficie di un campo da calcio.

“Le vescicole non sono importanti solo perché servono recuperare o espellere sostanze, come sacchettini che si riempiono o svuotano all’esterno: esse giocano un ruolo fondamentale anche nel regolare quei rapporti tra la cellula e il suo esterno che sono mediati da specifiche molecole presenti sulla membrana cellulare”, spiega Andrea Musacchio, che ha partecipato alla ricerca lavorando alla Harvard Medical School. Infatti sulla membrana che delimita ogni cellula sono localizzate molecole chiamate recettore, la cui funzione è di legarsi a sostanze presenti nello spazio extracellulare. Quando ciò avviene possono accadere due cose: o la sostanza “catturata” viene fatta penetrare all’interno della cellula, oppure il fatto che essa sia legata al recettore innesca una serie di reazioni a catena all’interno della cellula, nonostante la sostanza che le ha scatenate rimanga di fatto all’esterno.

“Il primo caso si verifica per esempio quando il recettore chiamato transferrina lega una molecola di ferro”, dice Musacchio, “questa molecola passa all’interno della cellula perché, nel punto dove esso si trova, la membrana cellulare si invagina fino a chiudersi in una vescicola, che si distacca e viene quindi inglobata nella cellula”. Questo processo non è specifico, ovvero la cellula ingloba in continuazione le porzioni della sua membrana dove sono presenti le molecole di transferrina, indipendentemente da quante di esse sono effettivamente legate con il ferro. Ovviamente un meccanismo parallelo provvede a rimpiazzare la transferrina rimossa.

Le cose però non vanno sempre così e a volte il processo è molto specifico. Nel tessuto mammario per esempio si trova un recettore che lega il cosiddetto “fattore di crescita dell’epidermide” e il suo alterato funzionamento è uno dei principali responsabili dei tumori al seno. Ebbene, questo recettore si trova “infilato” nella membrana cellulare, in modo che una sua parte sporga all’esterno e una all’interno. Quando la parte esterna si lega al fattore di crescita dell’epidermide, la parte interna reagisce modificandosi e innesca una cascata di reazioni all’interno della cellula. Se questo processo dura troppo a lungo si hanno effetti indesiderati e pericolosi, quindi la cellula provvede quasi immediatamente a individuare il recettore attivato e a rimuoverlo, includendolo in una vescicola che viene trasportata all’interno della cellula.

Dunque le vescicole svolgono un ruolo chiave nel buon funzionamento degli scambi della cellula con il suo esterno: un’attività alla base stessa della nostra sopravvivenza. In loro assenza noi non saremmo altro che un mucchio formato da centomila miliardi di cellule sconnesse. I ricercatori sapevano anche da tempo che tali vescicole si formano grazie a una speciale molecola, appunto la clatrina, che conferisce loro forma costituendo una sorta di telaio. I recenti studi hanno messo in luce che questa struttura è formata da una quarantina di molecole, ognuna a sua volta costituita da 6 componenti, organizzate in modo da formare una specie di treppiede snodato. “Le nostre ricerche si sono concentrate sulla parte terminale del treppiede, mettendo in luce come questo non si leghi direttamente alla membrana ma ad altre molecole che fanno da intermediario e sono chiamate complessi adattatori”. Lo snodo nelle molecole di clatrina consente loro di ruotare parzialmente, chiudendo la vescicola appena formata.

“Nel futuro le ricerche si indirizzeranno in modo da mettere in luce ogni dettaglio della struttura delle molecole di clatrina”, spiega Andrea Musacchio, che recentemente ha tralasciato gli studi sulle vescicole per dedicarsi all’allestimento del nuovo laboratorio di biologia strutturale all’Istituto europeo di oncologia a Milano. Dal punto di vista medico, conoscere il funzionamento delle vescicole e della loro gabbia di clatrina potrebbe essere molto utile. Oltre al già accennato coinvolgimento nei tumori al seno, è noto per esempio che le vescicole hanno un ruolo importante nell’eliminare dalla membrana cellulare il recettore CD4, utilizzato dal virus dell’Hiv come ingresso per penetrare nella cellula. Lo stesso virus, una volta giunto a destinazione, provvede a spingere la cellula a inglobare i CD4, in modo da evitare che altri virus la contagino e facciano una indesiderata concorrenza al primo venuto.

“In linea assolutamente teorica è possibile pensare di agire eliminando i recettori CD4 dalla membrana, chiudendo così le vie d’accesso all’Hiv”, spiega Musacchio, “personalmente però temo che questa sia una via estremamente difficile da seguire, perché il recettore CD4 ha un ruolo importantissimo nella risposta immunitaria ed è impossibile pensare di eliminarlo senza danneggiare l’organismo. Ciò che noi facciamo è in effetti in tutto e per tutto ricerca di base e quindi non abbiamo obiettivi medici a breve distanza: il nostro scopo è comprendere il funzionamento cellulare. Ciò non vuol dire che in seguito le nostre ricerche non avranno interessanti applicazioni terapeutiche. Uno degli aspetti affascinanti della ricerca di base è proprio il fatto che quando la si intraprende non si ha idea della portata delle sue applicazioni future”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here