Una spinta per i chip

    Elettroni “turbinati”. Saranno questi i “mattoni-base” dei chip del futuro. Che renderanno i microprocessori di prossima generazione molto più efficienti di quelli attuali. È questo lo scenario che giorno dopo giorno stanno dipingendo le ricerche nel campo delle nanotecnologie. Uno dei protagonisti di questo cambiamento è senza dubbio Horst Stormer, insignito del Premio Nobel per la Fisica nel 1998 e docente alla prestigiosa Columbia University di New York. Che a Erice ha tracciato gli scenari futuri dell’elettronica, partecipando assieme a un centinaio di scienziati di tutto il mondo un workshop promosso dalla Scuola Internazionale di Fisica dello Stato Solido del Centro di cultura scientifica “Ettore Majorana”.“Mettendo tante particelle insieme in uno spazio ristretto all’interno della materia”, spiega Stormer, “osserviamo un comportamento collettivo diverso da quello che assumerebbe la singola particella”. Tutto ciò consente di creare una nuova architettura di dispositivi elettronici. “Attraverso la nanotecnologia entriamo nei costituenti della materia”, dice il Nobel, “con possibilità di manipolare e cambiare le loro proprietà in maniera da costruire nuovi dispositivi elettronici le cui capacità di operazione sono nettamente superiori a quelli attuali (i microchip al silicio) che non sfruttano queste proprietà intrinseche della materia”. L’obiettivo della ricerca – condotta alla Columbia University e a cui partecipa attivamente, fra gli altri, anche un centro di eccellenza in Italia: la sezione dell’Istituto Nazionale di Fisica della Materia della Scuola Normale Superiore di Pisa, con un gruppo guidato da Vittorio Pellegrini – è duplice: realizzare chip elettronici costituiti da molecole dinamiche (e non statiche come i circuiti attuali prestampati) e sfruttare, per far viaggiare l’informazione all’interno, non soltanto la “carica”, ma anche un’altra proprietà dell’elettrone, cioè lo “spin” (peculiarità intrinseca della particella di girare su se stessa). La disciplina che studia questa proprietà si chiama “spintronica” e viene definita da Stormer come “lo sviluppo più eccitante della ricerca scientifica in questo campo”. Vittorio Pellegrini della Normale di Pisa, ci spiega cosa vuol dire sfruttare questa proprietà per mettere il “turbo” all’elettrone: “Lo spin, cioè questo grado di libertà che l’elettrone possiede di ruotare in un senso o nell’altro, può essere utilizzato per aumentare in maniera significativa la capacità di trasportare informazioni all’interno dei chip. Oggi l’elettrone trasporta dati fra zero e uno; sfruttando lo “spin”, potrà trasportare un’infinità di informazioni”. In questa corsa, destinata a rivoluzionare l’elettronica a noi conosciuta, Stormer è impegnato in prima persona: “Stiamo tentando di realizzare chip con singole molecole; il nostro sogno è quello di sostituire, completamente, entro il 2010 la tecnologia del silicio”, che attualmente costituisce l’asse portante di tutti i dispositivi elettronici nel mondo. Ma cosa ci riserverà la tecnologia in campo elettronico nei prossimi 20 o 30 anni? “A fare predizioni si sbaglia sempre, ma credo che ci troveremo dinanzi a una rivoluzione anche nell’approccio alla ricerca, allo studio dei materiali da impiegare. Per dare un esempio: i dispositivi non si faranno più partendo dal materiale di base per costruire poi oggetti sempre più piccoli (come avviene oggi con la tecnologia del silicio), ma si sfrutteranno le proprietà della materia organica e inorganica e, credo, quindi anche biologica (capace di autoaggregarsi), utilizzando un approccio “botton up”: si partirà dai costituenti fondamentali e, attraverso approcci di autoaggregazione, si tenterà di costruire dispositivi complessi partendo però dal piccolo e non dal grande’’.Un esempio viene dalla Columbia University dove l’attenzione oggi è puntata su una classe di molecole che, oltre al corpo centrale, presentano tre terminazioni (fatte di legami tra atomi di carbonio, azoto e ossigeno) che saranno utilizzate (questa è almeno l’idea dei ricercatori statunitensi sponsorizzati dalla National Science Fondation) per connessioni elettriche: un dispositivo, dunque, in cui le tensioni verrebbero controllate dai tre bracci della molecola, in maniera simile a quello che si fa oggi, su scala molto più grande, con i transistor.

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