Una tibia di ceramica

Nelle scorse settimane si svolta a Genova Tebio, la mostra-convegno sulle biotecnologie che, oltre alle numerose proteste degli ambientalisti contro la produzione e il commercio di cibi transgenici, ha ospitato le presentazioni di numerosi studi in campo biomedico. Tra questi uno tutto italiano sull’impianto di ossa biotech, realizzato da un team del Centro di biotecnologie avanzate di Genova. Lo studio offre prospettive importanti, soprattutto perché l’impianto di ossa biotecnologiche elimina il problema del rigetto. La loro parte inorganica – un tubo di ceramica che contiene cellule osteoprogenitrici – viene riassorbita dalle cellule che formano l’osso. Per capire meglio il funzionamento di queste ossa artificiali e comprendere i possibili sviluppi di questo studio Galileo ha intervistato Ranieri Cancedda, direttore del centro di studi genovese.

Professor Cancedda, come si realizza un osso biotecnologico?

“La parte principale la fa il paziente. È solo grazie alle cellule osteoprogenitrici prelevate dall’ammalato, quelle cioè da cui si generano tutte le altre che andranno a formare l’osso, che è possibile costruirlo. Queste cellule, prelevate dal midollo osseo, vengono coltivate in vitro per essere inserite all’interno di un cilindro poroso di materiale ceramico e realizzato secondo la lunghezza, la forma e il peso dell’osso da sostituire. Una volta preparato, l’osso artificiale viene impiantato all’interno del paziente e le cellule iniziano moltiplicarsi. Il cilindro ceramico svolge un compito di guida per le cellule a cui manda gli stessi segnali che ricevono da un osso naturale. Nell’arco di anni il materiale ceramico è destinato a degradarsi lentamente: man mano che si riproducono le cellule ossee assorbono il cilindro e che diviene parte integrante dell’osso”.

Ci sono possibilità di rigetto?

“Assolutamente no, poiché l’organismo tollera perfettamente l’osso preparato in laboratorio. Il cilindro ceramico è infatti costituito da idrossiopatite, lo stesso materiale di cui sono formate le ossa”.

Quanti interventi sono stati effettuati finora?

“Per adesso le operazioni eseguite sono cinque. Gli interventi (il primo è avvenuto nel 1998) sono stati effettuati presso l’Istituto Rizzoli di Bologna, in Russia al centro ortopedico di Ekaterimburg e in Svizzera. In tutti i casi la coltivazione delle cellule e gli impianti sono stati realizzati nel nostro centro qui a Genova”.

Qual è lo stato attuale di questa terapia?

“Il trattamento è ancora in fase sperimentale. Per questo il numero dei pazienti in cui viene impiantato un osso biotecnologico è ancora limitato. I tempi di sperimentazione sono stati lunghi: prima di intervenire sull’uomo abbiamo svolto molti test e abbiamo sperimentato questa terapia su venti pecore. Solo dopo aver ottenuto esiti molto positivi abbiamo deciso di passare all’uomo, ma dobbiamo ancora fare i conti con la fase di preparazione dell’osso che è molto complessa”.

Quali sono i possibili sviluppi dell’impianto di ossa biotecnologiche?

“Non sappiamo ancora con certezza quale sarà il futuro di questo trattamento. Per avere una risposta più precisa dovremo aspettare che l’intervento sia ripetuto più volte e avere riscontri positivi dal decorso dei pazienti già operati. In ogni caso ci aspettiamo che questa terapia diventi un intervento da consigliare in caso di lesioni importanti e, in un futuro non molto lontano, potrebbe rappresentare una valida alternativa ai trattamenti già esistenti”.

Quali sono gli aspetti della terapia su cui si deve ancora lavorare?

“Nonostante i buoni risultati, l’impianto di ossa biotecnologiche può essere ancora migliorato. Una fase su cui lavorare è quella del riassorbimento da parte delle cellule del cilindro ceramico, ancora troppo lento. Perciò in futuro cercheremo di realizzare un nuovo biomateriale che, senza causare rigetto nel paziente, faccia sparire le sue tracce in tempi più brevi”.

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