Un’alleanza per l’E. coli

“Dieci volte più ambiziosa e 100 volte più importante del Progetto Genoma”. Così viene definita dai partecipanti la rete che riunisce centinaia di laboratori europei, americani e giapponesi per sviluppare un modello informatico del batterio Escherichia coli, uno dei più importanti microrganismi modello della biologia molecolare. Si tratta dell’International E. coli Alliance (Ieca), un progetto lanciato il 4 agosto scorso durante il convegno “Intelligent Systems for Molecular Biology” a Edmonton, in Canada, i cui protagonisti si riuniranno in Svezia il prossimo novembre durante l’International Conference on Systems Biology. In quell’occasione dovranno convincere i partner europei a investire nel progetto: la spesa stimata è infatti di almeno 100 milioni di dollari in dieci anni.Il colibacillo, o E. coli, vive nell’intestino umano e, come affermò Frederick Neirhardt nel 1996, “tutti i biologi sono interessati almeno a due tipi di cellule: quelle che stanno studiando e l’E. coli”. Tanto che negli ultimi 60 anni è stato oggetto di numerosi studi, ma “nonostante si disponga di una quantità immensa di informazioni, tuttora non si riesce a metterle insieme”, ha spiegato Barry Wanner, uno dei leader americani del progetto. “Servono strumenti biochimici e strumenti computazionali”. Già, perché sebbene si tratti di un organismo composto da una sola cellula è estremamente complesso. Ecco allora l’esigenza di un modello che mostri le interazioni tra geni, proteine e apparato cellulare, fino a ricostruire l’intera rete di relazioni presenti nell’organismo. Di più, di una simulazione in silico, sul silicio, quindi al computer.“Il corredo genetico è come un catalogo completo delle parti di un automobile. Noi invece vogliamo capire come si mettono insieme tutti i pezzi”, ha affermato Hans Westerhoff dell’Università di Amsterdam. “Se ottenessimo una rappresentazione in silico dell’E.coli, il modello potrebbe rispondere a una serie infinita di variazioni ambientali e genetiche non riproducibili in altro modo se non al computer”, gli fa eco Bernhard Palsson, della University of California di San Diego. La nuova biologia in silico è “più democratica della genomica vera e propria. Non ha bisogno di singoli megadispositivi come la stazione spaziale, gli acceleratori di particelle in fisica o i costosissimi sequenziatori di Dna negli studi genetici”, ha dichiarato George Church, della Harvard Medical School. “I ricercatori di tutto il mondo avranno a disposizione oggetti più piccoli e una rete di conoscenze ed esperienze accessibile a tutti. Si potranno fare al computer esperimenti che in vivo durerebbero centinaia di anni. Gli scienziati lavoreranno dai propri terminali per introdurre mutanti e nuovi geni nel modello e vederne gli effetti. Per la biologia computazionale”, conclude Church, “tutto quello che serve è un pc e un po’ di materia grigia”.Quando gli scienziati dell’International E. coli Alliance si riuniranno in Svezia il prossimo novembre dovranno quindi convincere i partner europei a investire nella bioinformatica – settore generalmente sottovalutato nel Vecchio Continente. Che invece uno studio statunitense – reso noto il 10 settembre scorso – ha posto come priorità federale nei corsi di scienze biomediche e nei libri di testo delle università.

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