Ha novantasette anni, ma non li dimostra affatto. Anzi, sembra non essere stata minimamente scalfita dal tempo. La “vecchia signora” di cui parliamo è la teoria della relatività generale di Albert Einstein, formulata nel 1916 (qui il lavoro originale), che finora ha superato brillantemente tutte le prove a cui gli scienziati l’hanno sottoposta. Compresa l’ultima, la più dura: i ricercatori del Max Planck Institute for Radioastronomy hanno cercato un punto di rottura della teoria, dove dovrebbe entrare in gioco un modello alternativo, studiando una stella di neutroni superdensa, distante 7.000 anni luce dalla Terra. Eppure, la teoria si è rivelata valida anche per sistemi così estremi, come raccontano Paulo Freire e colleghi sulle pagine di Science.
In realtà, qualche limite della teoria è stato già osservato: la relatività generale, per esempio è incompatibile con la meccanica quantistica, che predice il comportamento della natura a livello atomico e subatomico. E, anche a livello macroscopico, qualcosa non torna: “Per un buco nero, per esempio”, spiega Freire, “predice campi gravitazionali e densità infinitamente forti. Non ha molto senso”. Gli scienziati non pensano che la teoria sia sbagliata, ma sono certi che non possa essere una spiegazione definitiva. Proprio come avvenne per la legge di gravitazione di Newton, che funziona egregiamente per basse velocità ma smette di essere valida a regimi superiori.
Secondo la teoria di Einstein, quella che noi chiamiamo gravità è una curvatura dello spazio-tempo provocata dagli oggetti con massa. Lo spazio-tempo è un tessuto a quattro dimensioni composto, per l’appunto, da spazio e tempo cuciti insieme. Si pensi, ad esempio, a una palla da bowling posta su un materasso. Sotto l’effetto del peso della palla, il materasso si deforma, e la deformazione modifica il moto (altrimenti rettilineo) di una pallina che si muove su di esso. Allo stesso modo, la massa del Sole distorce lo spazio-tempo che lo circonda. Un corpo con meno massa, come la Terra, viaggia lungo un percorso, che noi chiamiamo orbita, nella regione distorta.
Il laboratorio in cui Freire e colleghi hanno messo alla prova la teoria di Einstein è un sistema stellare binario (chiamato J0348+0432) composto da due stelle esotiche. La prima è una nana bianca, costituita dai resti freddi di una stella molto più luminosa. La sua compagna è una pulsar che ruota venticinque volte al secondo attorno al proprio asse. Sebbene abbia solo dodici chilometri di diametro, pesa il doppio del nostro Sole.
“Una massa così grande in uno spazio così piccolo: una stella così ha una densità altissima”, spiega Charles Wang, fisico teorico alla University of Aberdeen, non coinvolto nello studio. La gravità sulla superficie della pulsar è 300 miliardi di volte più forte rispetto a quella sulla Terra, una condizione vicina a quella di un buco nero: “Stiamo mettendo alla prova la teoria della relatività generale in una regione davvero estrema“, sostiene Freire.
La pulsar e la nana bianca emettono onde gravitazionali, e il sistema perde gradualmente energia: di conseguenza, le stelle si muovono sempre più vicine l’una all’altra e orbitano più velocemente. Secondo le previsioni della teoria della relatività generale, il periodo orbitale, cioè il tempo impiegato da una stella per compiere una rotazione completa, dovrebbe accorciarsi di circa otto milionesimi di secondo ogni anno. Le osservazioni di Freire, eseguite con diversi telescopi, collimano perfettamente con questa previsione.
La teoria è più viva che mai, insomma. D’altronde, il suo ideatore l’aveva previsto. Quando gli si chiese come si sarebbe sentito se la relatività non fosse stata corretta, rispose semplicemente: “Mi sarebbe dispiaciuto per Dio. La teoria è giusta”.
Via: Wired.it
Credits immagine: European Southern Observatory / J. Antoniadis (MPIfR)
Riferimenti: Science doi:10.1126/science.340.6131.405-i