Un’altra pesca è possibile

Le riserve ittiche dei nostri mari sono finite. In Italia, l’ultimo giorno dell’autosufficienza alimentare, da questo punto di vista, è stato il 30 aprile scorso. Questo significa che se nel nostro paese si mangiasse esclusivamente pesce proveniente dai nostri mari, dal primo maggio dovremmo fare ricorso a prodotti d’importazione. Ovviamente si tratta di uno scenario virtuale, che serve però a capire quanto gli stock siano ormai in calo vertiginoso: circa l’80 per cento di tutte le specie presenti nelle acque dell’Unione è sovrasfruttato, e il numero di pescherecci è troppo alto rispetto alla quantità di pesce che può essere prelevato. La conferma arriva dal dossier “Fish dependence day”, presentato dalla New economics foundation e da Ocean 2012: sebbene gli stock ittici siano una risorsa rinnovabile, preleviamo dai nostri mari molto più velocemente rispetto ai tempi di ripopolamento. La conseguenza è che il 54 per cento dei 46 stock ittici del Mediterraneo esaminati nel rapporto è sovrasfruttato. Dato il calo delle catture, l’Italia, che continua a consumare la stessa quantità di pesce del 1999, è costretta a importarne il 37 per cento in più rispetto a un ventennio fa. 

Per porre fino a questo trend e ripristinare la salute degli stock ittici europei occorre pescare di meno e rispettare i tempi di ripopolamento dei mari, dicono gli esperti. Insomma, ci vuole una pesca più sostenibile. Un deciso cambio di rotta in questo senso potrà darlo la Riforma europea della politica comune della Pesca, che si concluderà nel 2013, da cui ci si aspettano regole precise, maggiori controlli, lotta alla pesca illegale, limitazione della pressione di pesca sulle risorse sotto stress, tracciabilità del prodotto, sostegno all’acquacoltura.    

Intanto c’è chi non è stato a guardare. A Torre Guaceto, riserva naturale sulla costa adriatica dell’Alto Salento, è attivo da anni un progetto di co-gestione della piccola pesca che è diventato un modello per molti pescatori europei e non solo. Promosso dall’Ente gestore dell’Area marina protetta (Amp) di Torre Guaceto, dal Consorzio Interuniversitario delle Scienze del Mare (CoNISMa) con sede nell’Università del Salento e da Slow Food-Alto Salento, il progetto è nato per salvaguardare le esigenze dei pescatori e, insieme, ridurre l’impatto sull’ambiente, preservando nel tempo la disponibilità di pescato. “Dal 2001 al 2005 è stato imposto il divieto assoluto di pesca in tutta l’area marina, anche nella zona C, dove in genere è consentita l’attività umana”, spiega Marcello Longo, rappresentante di Slow Food e tra i promotori dell’iniziativa. “All’inizio non sono mancati momenti di tensione con i pescatori ma, con il tempo e con i risultati, le cose sono cambiate. Le risorse ittiche, infatti, sono aumentate del 400 per cento e si è evitata la scomparsa degli sparidi, come i saraghi, e poi di scorfani e triglie, dei polpi e delle seppie; ora, a ogni uscita in mare si realizzano guadagni più alti”.

Un piccolo ‘miracolo’, possibile grazie alle regole che la comunità di pescatori (che fa parte di Terra Madre, rete delle comunità del cibo) si è data, d’accordo con l’ente gestore: le imbarcazioni pescano una sola volta a settimana e utilizzano reti più corte (1 km) e più larghe, per evitare di produrre danni ai fondali, di pescare pesci giovani o specie ecologicamente importanti. “Dopo il fermo, dal 2005 al 2009 le pescate effettuate in zona C sono state monitorate raccogliendo i dati sulla composizione del pescato e il peso per ogni singola specie”, spiega Paolo Guidetti, docente presso l’Università del Salento di Lecce e responsabile scientifico del progetto di Torre Guaceto. “Ci sono state catture anche quattro volte superiori a quelle precedenti. Oggi i rendimenti sono almeno il doppio rispetto a prima del 2005 e a quelli ottenuti al di fuori dell’area marina protetta, segno che la pesca sperimentale sta dando i suoi frutti. Sono aumentate anche le taglie di molte specie commerciali, come la triglia di scoglio”, conclude Guidetti. 

La gestione sostenibile della pesca è l’obiettivo anche di un altro progetto, avviato quest’anno dal Cnr (Iamc di Mazara del Vallo, Capo Ranitola, Messina e Oristano, Ismar di Foggia e Isac di Lecce e Roma) nello Stretto di Sicilia e nell’Adriatico Meridionale. Queste due aree del Mezzogiorno sono molto importanti per l’economia ittica: basti pensare che nello stretto di Sicilia si pescano 6-8 mila tonnellate di gambero rosa, circa il 50 per cento di tutto il pescato del Mediterraneo. “Il nostro compito è raccogliere informazioni sull’abbondanza, la demografia e la distribuzione delle risorse, e monitorare anche le dinamiche ambientali che possono influenzare la capacità riproduttiva degli stock”, spiega Fabio Fiorentino, ricercatore presso l’Iamc di Mazara del Vallo e responsabile del progetto. “Lo scopo è sviluppare strumenti e tecnologie dell’Information and Communication Technology per trasmettere a bordo dei pescherecci e alla capitanerie di porto tutta una serie di informazioni utili sull’ambiente marino in tempo reale, sull’abbondanza del pesce e sulle aree critiche”. Il tutto per ottimizzare i processi di pesca, riducendo gli impatti negativi sull’ambiente e migliorando il rendimento economico.

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