L’ultima brillante idea in fatto di efficienza energetica applicata ai sistemi di illuminazione arriva dagli Usa. I ricercatori del Michigan Memorial Phoenix Energy Institute e della Princeton University hanno infatti trovato il modo di ottenere molta più luce bianca dai diodi basati sui complessi organometallici (Woled, White Organic Light Emitting Diode) rispetto a quanto non si riesca a fare attualmente.
In questi sistemi viene generata molta luce bianca, la maggior parte della quale, però, rimane intrappolata all’interno dei dispositivi stessi. Lo studio, che verrà pubblicato ad agosto su Nature Photonics (ma già disponibile on line), descrive un modo per “liberarla”.
Nei woled, gli elettroni attraversano sottili strati nanometrici di materiale organico (cioè a base di carbonio) che serve da semiconduttore, e le particelle, eccitate, emettono luce bianca. Il problema è che per il 60 per cento la luce rimane tra gli strati perché questi agiscono come degli specchi che la riflettono senza permetterle di uscire. La soluzione pensata da Stephen Forrest e Yuri Sun consiste in un sistema combinato di griglie di carbonio e micro-lenti che “portano” la luce fuori dagli strati. Le griglie infatti guidano la luce intrappolata, inviandola a uno strato di lenti a forma di cupola che la riflette all’esterno del dispositivo. Questo processo consente di produrre circa 70 lumen da ciascun watt di potenza. Per avere un metro di paragone, le lampadine a incandescenza producono 15 lumen per watt. Le lampade al neon ne producono 90, ma la luce emessa è fredda e può essere poco piacevole.
I materiali organometallici, sostemgono gli autori, sono già ampiamente utilizzati a livello industriale, per esempio nelle vernici delle automobili, e sono dunque facilmente reperibili ed estremamente economici. La realizzazione di nuovi tipi di lampade basati su questi sistemi permetterebbe, inoltre, di ridurre significativamente il consumo di energia per l’illuminazione domestica (e.r.)
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